The Handmaid’s Tale 1×09/1×10, la speranza è l’ultima a morire

The Handmaid's Tale 1x10

“Non dovevano darci delle uniformi se non volevano trasformarci in un esercito.”

Fin dall’inizio, ho usato gli aggettivi più agghiaccianti possibili per descrivere The Handmaid’s Tale. Ovviamente sempre usati in positivo, perché abbiamo assistito ad una grande stagione di una grandissima nuova serie tv. Ma fin da subito, The Handmaid’s Tale non è stata una visione leggera, e tutt’altro che facile da digerire a puntate terminate.

Ogni settimana, per dieci episodi, ci ha proposto un ritratto feroce, sadico, disilluso, squallido, orribile di un nostro possibile futuro. O purtroppo presente, in taluni casi. Ed è ciò che ha reso la visione così dannatamente travagliata, la consapevolezza che molte di quelle cose che la serie ha osato trattare potrebbero accadere o già accadono, sotto altre forme naturalmente, in varie parti del mondo.

E’ una serie che, assolutamente, ha fatto prigionieri senza distinzioni. Perché se il primo focus è sul ruolo femminile, è l’intera umanità ad uscirne con le ossa rotte.

E allora, proprio per tutte queste cose, è straordinario poter dire che nel suo finale di stagione The Handmaid’s Tale ci ha fatto assaggiare un sapore che ormai ritenevamo recondito e sconosciuto: la speranza.

Che poi, al di là di ogni eccesso retorico o semplicistico, è davvero una cosa fondamentale. Dopotutto, se uno dei motti della stagione è stato quello di non chinare il capo, quello di non arrendersi, quello di “non lasciare che i bastardi ti schiaccino”, l’unica arma che si ha per continuare a lottare è quella della speranza.

L’abbiamo vista e assaporata, finalmente, addirittura in varie forme. Quella esplicita di un futuro più sicuro e soprattutto libero, come la salvezza che Moira intravede fuggendo in Canada. Quella catartica di riavere la possibilità di sfogarsi, finalmente, e poter lanciare ogni specie di improperi all’indirizzo del proprio aguzzino. O quella di pura ribellione simbolica, rifiutandosi di compiere un atto inumano come la lapidazione, opponendosi in gruppo, dando quindi prova che uniti e decisi si può ancora riuscire a cambiare le cose.

Purtroppo, nonostante ciò, la catarsi rimane ancora una grossa iperbole. Fuga di Moira a parte, gli altri due momenti rimangono comunque depotenziati, perché nel primo Offred si è limitata agli insulti ma è rimasta schiava, e nel secondo il gesto di rivolta porterà sicuramente conseguenze e punizioni ancora peggiori per tutte le ancelle coinvolte.

Ma quei momenti, quei gesti, quelle parole ci sono state, e nessuno potrò cancellarle. Non stati cambiamenti a breve termine ma nemmeno inutili, perché hanno mostrato che qualcosa si può fare. La speranza è esattamente quello. Momenti che hanno illuminato di giustizia emotiva una stagione arida e continuamente repressiva di soddisfazioni. Non solo per i personaggi ma per gli spettatori stessi, che meritavano un barlume di redenzione.

La speranza, di per sé, è però anche ambigua, perché non lascia la certezza di poter raggiungere un cambiamento.

E quindi una stagione estremamente lineare sceglie di abbracciare, proprio quando serve, l’ambiguità. Il finale è un classico cliffhanger televisivo, e dovremo aspettare molti mesi prima di conoscere il destino di Offred. E’ stata portata via dai guardini del credo di Gilead? E’ stata salvata dai ribelli segreti di Mayday? Non lo sappiamo adesso, ed è proprio qui che interviene la speranza.

Chi vi scrive invece semplicemente spera che la prossima stagione possa essere all’altezza della straordinaria appena conclusa. E spero che i premi si accorgano di Elisabeth Moss, fantastica in un cast complessivamente perfetto, capace di regalare settimana dopo settimane interpretazioni di una profondità emotiva impareggiabile (se non fosse per la quantità di beep necessari, la sua scena di insulti in macchina andrebbe mostrata ad ogni premiazione televisiva). Infine, spero che più persone possibili possano recuperare The Handmaid’s Tale, una serie che oltre l’altissima qualità, quello che ormai lo avrete intuito, arriva al momento storico/sociale giusto ad illustrare i rischi che corriamo (esatto, è più reale di quanto crediate).

Blessed be the fruit.

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Emanuele D’Aniello

Malato di cinema, divoratore di serie tv, aspirante critico cinematografico.

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