The Handmaid’s Tale 1×07/1×08, nella tana del bianconiglio

The Handmaid's Tale

E’ davvero difficile intravedere barlumi di speranza in una serie come questa.

Lo è per la storia raccontata, e di conseguenza per i protagonisti. Ma lo è anche per noi stessi, essendo The Handmaid’s Tale una preoccupante finestra sui rischi del nostro futuro. Infatti anche in queste due nuove puntate possiamo fare senza problemi il gioco a scoprire le metafore nascoste.

Forse un po’ di meno nell’episodio 7, a dir la verità. La prima puntata totalmente fuori da Gilead e non dedicata al nostro nucleo centrale di personaggi, uno sguardo ai flashback per capire il destino di Luke poco prima e poco dopo il rapimento della moglie. E’ una puntata totalmente incentrata sulla trama, densa di momenti, densa come sempre di durezza. Essendoci dedicati finora alla distruzione del lato femminile, non è facile ora entrare nella testa di Luke. Ma l’universo creato dalla serie ha distrutto tutto, non solo le donne, anche il sentimento di un maschio che aveva una moglie e una figlia.

La puntata ci ricorda che non è il maschio il cattivo, semmai la follia del fanatismo umano. E’ una situazione in cui tutti sono costretti a diventare inumani, anche una persona istintivamente buona come Luke, appunto. Quella disperazione che nella puntata successiva ha portato il giovane Nick ad abbandonare ogni principio morale.

The Handmaid’s Tale allarga i propri orizzonti narrativi e in tre puntate di fila abbiamo visto finalmente scampoli di vita e storie oltre la nostra protagonista. Serena Joy, Luke, Nick, ognuno è esaminato ed ognuno è stato distrutto da ciò che rimane della vita. La prima a causa della stessa complicità, il secondo puramente vittima, il terzo inquinando la propria morale.

In un certo senso, tutti entrano nella tana del bianconiglio, il quale non si trova mai come da tradizione. Che sia simbolo di speranza, che sia desiderio di giustizia, che sia redenzione, che sia ribellione, questo benedetto bianconiglio non si raggiunge.

“White Rabbit” dei Jefferson Airplane è probabilmente una delle canzoni più abusate in assoluto tra cinema e tv. Ma quelle note lisergiche e ipnotiche sono nuovamente così efficaci in una serie come questa. Partono al momento giusto nell’episodio 8, quando Offred scende nel baratro della dissolutezza umana. Ma non è tanto la prostituzione o l’orgia a stupire, quanto la facilità con cui tale abisso si può toccare.

E’ l’ennesima prova che coloro i quali fanno bandiera di purezza sono in realtà i primi e più orribili mostri. E’ la conferma che pur di annullare ogni forma di dolore spesso si è disposti a preferire l’impensabile alla disperazione. Esattamente come fa Moira, e quindi il suo abbraccio con Offred non può essere un momento emotivamente alto, come invece tutti speravamo e sarebbe stato giusto, perché la sua condizione e la sua lampante volontarietà nell’accettarla cozzano con ogni forma di soddisfazione, anche solo momentanea. Vederla ora, dentro quell’incubo, è semmai l’ennesima conferma che le vie di fughe sono quasi inesistenti.

The Handmaid’s Tale continua ad assestare pugni fortissimo allo stomaco dello spettatore.

Il sorriso e le lacrime di Luke quando scopre che la moglie è ancora viva sono straordinarie, e necessarie. La volontà di Offred di non arrendersi e incidere sul muro il suo continuo credere nella speranza è uno spiraglio fondamentale. Ma rimangono solo barlumi, appunto e purtroppo. Mancano due puntate alla fine di questa prima stagione, e non so cosa succederà ai personaggi, ma l’importante è che il monito lanciato possa sentirsi ancora, e che il nostro presente non finisca in quella scatola o nella tana vuota del bianconiglio.

“You are not alone”, noi non siamo soli. Ricordiamolo sempre.

The Handmaid's Tale 1x08

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Emanuele D’Aniello

Malato di cinema, divoratore di serie tv, aspirante critico cinematografico.

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