Dal 30 dicembre 2020 è disponibile su Netflix SanPa: Luci e Tenebre di San Patrignano, la prima docu-serie originale italiana targata Netflix.
La serie è composta da cinque episodi, ciascuno della durata di un’ora (intitolati Nascita, Crescita, Fama, Declino, Caduta), in cui lo scopo è raccontare la controversa, discussa e incerta storia della comunità di recupero di San Patrignano fondata nel 1978 da Vincenzo Muccioli in un podere di Coriano, paese del riminese.
Nella docu-serie l’intento è principalmente ripercorrere il ventennio di gestione della comunità da parte di Vincenzo Muccioli, dalle origini (sul finire degli anni Settanta) fino al 1995 (anno della sua morte), e secondariamente raccontare il contesto sociale, economico e politico in cui l’Italia si trovava in quel periodo.
Tutto ha inizio a causa del dilagare dell’uso dell’eroina da parte di un’intera generazione. Un uomo laico, Vincenzo Muccioli, decide allora di accogliere e salvare dalla “piazza” moltissimi ragazzi e ragazze, diventati ormai degli zombie che si aggirano per le città senza una ragione di vita che non sia la ricerca della droga.
Tuttavia la storia di Muccioli e della sua comunità di recupero è avvolta dal mistero. La serie, realizzata grazie a venticinque testimonianze (per un totale di 180 ore di interviste) e alle immagini di repertorio tratte da 51 differenti archivi, ricostruisce la vicenda in modo accurato, mostrando sia le luci che le ombre di una storia che ha segnato un’epoca del nostro Paese e che ha diviso la magistratura, l’opinione pubblica, la politica.
Vincenzo Muccioli, figura a cui è dedicata SanPa: Luci e Tenebre di San Patrignano, è un uomo che indubbiamente ha salvato tantissime vite. In quel particolare momento storico in cui Muccioli fonda San Patrignano lo Stato non si (pre)occupava del problema della droga, quindi le comunità per il recupero dei tossicodipendenti nascono in modo artigianale.
SanPa mostra infatti come San Patrignano fosse all’inizio simile a una piccola azienda agricola. Tuttavia in pochissimo tempo gli ospiti si moltiplicano passando da venti a diverse centinaia. Di conseguenza negli anni Ottanta San Patrignano diventa enorme e si dota di una struttura sempre più complessa – con la costruzione addirittura di un ospedale interno per la cura dei sieropositivi- e organizzata per gerarchie e per reparti (la macelleria, la manutenzione, la programmazione).
Se nel primo episodio SanPa dedica un certo spazio al problema della dipendenza e a quello contestuale dell’epidemia di AIDS, la serie lascia presto il racconto delle tragedie connesse alla tossicodipendenza per parlare più in generale di Muccioli e delle controversie legate ai metodi “terapeutici” usati a San Patrignano durante la sua guida.
Chi è veramente Vincenzo Muccioli? Un uomo capace di fare il miracolo “di far spuntare un fiore da una pianta morta”? Un filantropo o un laico che aiutava il prossimo per un interesse economico? Un padre o un sequestratore che metteva le catene ai polsi e alle caviglie degli ospiti della comunità?
Cosa è San Patrignano, la sua creatura? Una fabbrica che produce uomini soldati e donne casalinghe? Un luogo di salvezza o un lager fondato sul motto “il lavoro ti rende libero” come dichiara l’ex ospite Antonella De Stefani?
SanPa non dà una risposta a queste domande ed evita di sostenere un’unica tesi: non difende Muccioli né lo accusa, almeno ad una prima lettura o meglio fino alla visione della terza puntata.
Proponendo interviste a persone pro-Muccioli e contro-Muccioli, la serie tenta di offrire un duplice punto di vista. Nonostante ciò prevale un sentimento negativo nei confronti del fondatore di San Patrignano, per due motivi. Il primo è che nel montaggio delle interviste i testimoni pro-Muccioli sembrano spesso non essere credibili, perché negano certe evidenze (come i pestaggi che avvenivano all’interno della comunità certificati da ricoveri in ospedali pubblici); il secondo è che lo spettatore può farsi un’idea di chi potesse essere Muccioli grazie alle sue stesse parole, mostrate nelle immagini di archivio scelte per essere parte della narrazione.
Ad esempio quando l’uomo è intervistato a proposito dei presunti stupri punitivi che si tenevano nel reparto manutenzione fa, a un certo punto, il “gioco dell’anello” con la giornalista, chiedendole di infilare il dito in una fede. La donna non riesce nell’impresa, perché lui continua a spostare l’anello a destra e sinistra. Con questa metafora Muccioli spiegherebbe come una donna che non voglia essere penetrata possa evitare lo stupro. Cosa ci dice questo? Che è un omicida? No. Che è un sequestratore? No. Che è un misogino? Giudicatelo voi. Suo figlio nella serie afferma candidamente:
Ma sai quante volte ho sentito mio padre parlare di ammazzare…quello lì [sic] bisognerebbe prenderla, infilarla nell’acido, farla sciogliere e poi prendere … cioè ma da quando ero bambino.
Non mi impressionavo perché sapevo bene che mio padre, come dire!?!, scherzava, diceva una roba volutamente esagerata. Amava l’iperbole
Ma esistono iperboli e iperboli.
Ad ogni modo SanPa è una serie da vedere, perché, con la giusta distanza temporale e sentimentale aggiunge molte informazioni che concorrono al racconto di una storia enigmatica e complessa, sulla quale persistono diversi dubbi. Ecco il trailer e buona visione!
Valeria de Bari