House of Cards, una 4° stagione ancora più cinica e brutale

E così, anche la quarta stagione di House of Cards è passata.

O meglio, non per tutti, o per altri già è finita da molto tempo, poiché come suo solito Netflix, il servizio streaming americano, ha distribuito tutti i 13 episodi online in un solo giorno, lo scorso 4 marzo.
Quindi occhio, la recensione che segue è strettamente SPOILER.
Dopo due stagioni folgoranti, la 3° stagione di House of Cards è stata altamente deludente. Il più grosso difetto, che ha coinvolto e trascinato tutti gli episodi, è stata la normalizzazione di un racconto che di normale non aveva nulla. In particolare, i problemi che hanno affossato la stagione sono stati due:
– l’approccio da melodramma al rapporto tra Frank e Claire, che da coppia diabolica e mai vista prima si sono trovati di fronte i problemi di un normalissimo matrimonio (con scelte oltretutto incoerenti per il personaggio di Claire);
– Frank come presidente, che ha frenato tutta l’eccitazione e il fascino delle stagioni precedenti (la corsa è sempre più ipnotica della meta, e vederlo conservare il potere non era certo così accattivante) e lo ha costretto a prendere decisioni per il bene di tutti, lui che pensa solo al suo bene, soprattutto inserendo questioni del mondo reale ha spostato la serie da tragedia shakespeariana al campo del realismo, gettando il velo su tutte le cose ridicole prima perdonate in nome dell’allegoria.

 

 
House of Cards nella terza stagione, in poche parole, non era più la serie di cui si sono innamorati in tantissimi. Questa nuova 4° stagione ci ha messo un po’ di episodi ad ingranare (nella prima metà molti errori sono stati reiterati), ma poi è riuscita a correggere esattamente quei due difetti, segno che pure gli autori si sono accorti degli sbagli commessi lo scorso anno.

 

Frank non è certo uscito dalla Casa Bianca, ma finalmente gli è stato dato il materiale giusto: prima le primarie del partito, poi la corsa all’elezione presidenziale. Qui non c’è da conservare, qui c’è una sfida da vincere a tutti i costi, e in queste occasioni vediamo il vero Frank Underwood, quello che deve raggiungere un traguardo e vuole riuscirci tra macchinazioni e manipolazioni brutali. Oltretutto ha finalmente un avversario all’altezza, il governatore repubblicano Conway col quale le interazioni sono sempre state fantastiche.
Il rapporto con Claire è finalmente tornato quello macbethiano degli inizi, e anzi Robin Wright ha avuto a disposizione molto più minutaggio e materiale, dimostrando un’intensità notevole che la rende ormai co-protagonista della serie a tutti gli effetti (e il fotogramma finale in cui pure lei diventa consapevole del pubblico è da brividi). I due personaggi funzionano splendidamente insieme, il loro rapporto e la loro routine non è paragonabile a nulla di quanto visto prima in tv e anche al cinema, e rende ogni scena tremendamente affascinante.
House of Cards è tornata una serie fatta di macchinazioni e tensione, intrighi e sorprese, in cui non sai mai cosa può accadere, ma sicuramente sarà qualcosa che rompe ogni volta lo status quo. Qualche problema c’è ancora – la difficoltà nel trattare temi di politica reali, il lato dell’indagine giornalistica troppo complesso con continui cambi di personaggi, la sottotrama forzata del controllo dati – ma nel complesso House of Cards si è rimesso in piedi e, complici pure le interpretazioni titaniche dei due protagonisti, ha destato una curiosità immensa per il resto della storia, smentendo chi, come il sottoscritto, pensava il materiale interessante fosse già esaurito. Ha dimostrato soprattutto di riconoscere i propri errori e tramutarli in vantaggi narrativi, un pregio che pochissime serie sanno sfruttare.
Emanuele D’Aniello
Malato di cinema, divoratore di serie tv, aspirante critico cinematografico.

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