Game of Thrones 7×04, giochiamo a fare la guerra

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Probabilmente, il sentimento più universale ed empatico, ancor più dell’amore, è il piacere di tornare a casa.

Casa, naturalmente, intesa sia come unione familiare, sia come approdo sicuro, il posto in ci si sente più a proprio agio. Un bisogno umanissimo, talvolta puramente necessario. E nel disporre le pedine in vista del finale, Game of Thrones sta puntando moltissimo su ritorni e incontri di personaggi che non si erano mai visti prima. Dopotutto ormai, così vicini alla fine, ha poco senso tenere tutti separati ora che la narrazione si sta giustamente e finalmente uniformando.

La scorsa settimana scelsi di accennare soltanto all’incontro tra Daenerys e Jon, pur essendo indubbiamente il più simbolico finora dell’intera serie. Oggi però è quasi impossibile non parlare dell’abbraccio tra Sansa e Arya. Non perché sia più importante, semmai per altri due motivi. Il primo, è l’ovvia attesa commovente e il sentito trasporto con cui ci si è arrivati. La famiglia Stark è quella a cui la storia ha assegnato all’inizio il ruolo di “fan favourite” per il pubblico, coloro per cui tifare in un certo senso. Tifo che poi è diventato vero dolore e autentica empatia vedendo cosa hanno passato e quanto hanno sofferto, specialmente queste due sorelle.

Pur essendo stato però il ritorno forse più sentito finora nell’intera serie, è stato mostrato in maniera molto distaccata. Gli autori intelligentemente lo hanno voluto proporre così sia per differenziarsi dagli altri (le lacrime dell’abbraccio tra Sansa e Jon le ricordiamo ancora tutti), sia per introdurre il secondo motivo per cui è giusto parlare di tale momento.

La freddezza tra le sorelle è proprio conseguenza di ciò che hanno passato e subito. Un cambiamento ancora più evidente nella reunion tra i bambini di Grande Inverno. Bran ha l’onestà di far intendere che il suo vecchio io è ormai morto, ma è quasi traumatico, proprio perché avviene in un momento che dovrebbe essere felice, vedere come Arya non sia più la bambina che giocava con le spade di legno, ma una guerriera spietata, e Sansa non sia più la vezzosa ragazza che desiderava i matrimoni, ma una lady che sa come usare il potere. Tre adolescenti ormai “gusci” di ciò che erano un tempo.

La guerra è tutto ciò che li ha rovinati, cambiati, metaforicamente uccisi.

La guerra non fa prigionieri, lo vediamo benissimo nella pazzesca sequenza finale della puntata. Nel mondo reale la guerra è proprio colei che spezza le famiglie, cambia le persone e e fa diventare bambini adulti. Quindici minuti finali in cui la visione non risparmia nulla: ferite, sporcizia, silenzi, rumori, odori, dolori. Non si dipinge una battaglia, come Game of Thrones ha fatto magistralmente in una puntata dedicata ogni stagione, ma stavolta si mostra l’essenza della guerra per ciò che veramente è.

Ed è quindi ancora più doloroso vedere, per piccolissimi frammenti, i personaggi tornare puri. Tyrion preoccuparsi per il fratello. Jamie spaventato come mai ma ripreso dallo spirito che lo portò ad uccidere il Re Folle. Il figlio di Lord Tarly ricordarsi cosa e chi la guerra ha strappato. Daenerys giocare come è stata cresciuta dal suo stesso sangue. Per un attimo, un brevissimo istante, tutti i personaggi coinvolti ritornano bambini. E lo ritornano nel peggiore dei modi e dei momenti, esattamente come i bambini di Grande Inverno. La gioia, è anche quando pare arrivare o tornare, rimane soltanto uno sbiadito fantasma.

La guerra devasta tutto, e Game of Thrones, in una delle sue puntate migliori, ce lo mostra in ogni singolo aspetto

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Emanuele D’Aniello

Malato di cinema, divoratore di serie tv, aspirante critico cinematografico.

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