Non credo tutti conoscano i tempi produttivi, ma solitamente, per una serie come Fargo, le riprese finiscono molto prima della messa in onda.
Si scrive, si gira, e poi passano mesi in post-produzione prima di arrivare in tv. Quest’anno invece, complici i tanti impegni del creatore Noah Hawley, per Fargo non è andata così. La stagione è iniziata a riprese ancora in corso, e solo la scorsa settimana è stato girato l’ultimo episodio.
Questa tempistica inusuale permette naturalmente alcune correzioni in corsa, o qualche aggiunta. E vedendo la piega e le allusioni fatte soprattutto in queste tre puntate, credo sia stato questo il caso.
Personalmente, non riesco ancora a trovarmi tra gli entusiasti di Fargo, spiace ammetterlo, anche questi episodi non mi hanno convinto. Continuo a non trovare interessante dover seguire azioni dettate da stupidità, e le relazioni tra personaggi ancora poco appassionanti. Ma se adesso rileggo questa stagione di Fargo sotto altre prospettive, capisco e apprezzo molto di più.
Fin dalla prima stagione, per omaggiare l’omonimo inspiratorio film dei Coen, la serie ha offerto l’incipit “questa è una storia vera”. La frase apre ogni episodio, e naturalmente bisogna ricordare che è un falso. Perché le vicende delle tre stagioni NON sono ispirate a storie vere. Più che un semplice omaggio, però, la frase ha anche il significato di “le apparenze ingannano”. Spesso quello che vediamo, pur se qualcuno prova a farlo passare per vero, non lo è.
Qui, forse, sta tutta la vera natura di questa enigmatica stagione di Fargo.
Stagione che, non dimentichiamo, infatti è iniziata mostrando proprio un inganno delle apparenze, e come la verità possa essere piegata e ricreata a proprio piacimento. Nel 5° episodio c’erano frase sibilline, nel 6° la narrativa che crea Varga dalla realtà è però lampante.
Questa stagione sta diventando un vero e proprio commento su come i fatti vengano, più che manipolati, letteralmente ricreati. Spesso i veri cattivi che perseguitano i personaggi sono computer, o tecnologia in generale, un simbolo dei social network attuali che aiutano a veicolari notizie distorte e riscritte ad arte. Fin dall’inizio Fargo è stata una serie che ci ha mostrato, partendo proprio da quell’incipit divenuto sempre più fondamentale e significativo, l’importanze delle storie, e come spessissimo queste prendano il sopravvento sulla realtà. Tutti i personaggi della serie raccontano storie, spesso false. Nel 4° episodio la vicenda si è tramutata in un’altra storia, ovvero la vicenda di “Pierino e il lupo” sfruttando la traccia musicale. La serie stessa è una storia falsa spacciata per vera. E tutti, arriviamo a questo punto, abbiamo bisogno di storie per andare avanti e addolcire il presente.
La verità spesso fa male, la realtà quasi sempre ci opprime, ci salvano le storie.
E allora, a chi come me non interessa e non appassionano le azioni stupide nate dalla diatriba tra i fratelli Stussy, Fargo offre l’occasione di scavare in un significato più profondo.
Nella critica alla società moderna che fabbrica notizie false, nel commento alle continue bufale che manipolano la percezione e le valutazioni delle persone, ritroviamo il presente. E data la tempistica, è ovvia la presa in giro dell’amministrazione Trump che non usa la verità ma crea una narrativa a proprio uso e consumo, e quando è messa di fronte ai fatti li supera con le falsità chiamandole “alternative facts“. Sono i potenti i primi a creare le storie e superare la verità.
O forse, semplicemente, sto leggendo troppo tra le righe e penso troppo a cose che non ci sono in Fargo. In questo caso, anche io starei creando una storia che sostituisca la realtà per cui la serie non mi piace. Ecco, dopotutto come sottolineato tutti noi abbiamo bisogno di finzione per andare avanti.
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Emanuele D’Aniello