Capisco bene perché in Italia Dear White People non sfondi.
Le tensioni razziali sembrano non appartenerci – almeno, non ancora – e ci sembra strano quanto gli afroamericani facciano girare qualsiasi cosa intorno alla politica e all’identità. Chi conosce però un briciolo la realtà americana sa quanto questa serie sia forse il miglior ritratto attuale della gioventù di quel grande e controverso stato.
Commentando la prima stagione ho definito più volte Dear White People una serie tv topica. Insomma, arrivava al momento giusto con gli argomenti giusti. In questa 2° stagione se possibile la serie è ancora più al centro dell’universo reale. Non c’è solo il problema della divisione culturale tra bianchi e neri che diventa problema generazionale e quotidiano, ma il dolore di dover prenderne atto giorno dopo giorno mentre sono in preoccupante ascesa dell’alt-right e il trollaggio su internet (non è difficile vedere in due personaggi della serie delle acute parodie di Tomi Lahren e Milo Yiannopoulos).
E c’è la sfera umana, ovviamente. La gravidanza inaspettata di Coco, lo stress post-traumatica di Reggie, esempi di storylines che formano il cuore della serie e la sua universalità. Sicuramente è una serie prettamente politica, i cui toni sono addirittura più esasperati ed esacerbati in questa nuova stagione, ma solo così possono far capire la realtà a chi non vive negli Stati Uniti e, di conseguenza, far empatizzare coi personaggi (e la strutta per cui ogni episodi è dedicato ad un diverso personaggio aiuta molto).
Ma non solo per il suo contenuto sociologico Dear White People è forse la miglior serie di Netflix.
In questa seconda annata ha preso completamente confidenza coi propri mezzi, narrativi ed estetici. Passiamo da puntate più drammatiche a quelle più comiche, ad episodi che sembrano fare il verso ai thriller universitari a quelli in cui la componente allucinata crea un’atmosfera da trip mentale.
Una serie con un grande coraggio Dear White People, e ce ne sono pochissime così. È utilissima a farci comprendere perché la realtà americana sia diventata ultimamente così complicata – sapevate prima di vedere la serie cosa fosse un hotep? – e al tempo stesso ci intrattiene per dieci puntate con storie e personaggi ricchi di sfaccettature e complessità.
E poi, se sceglie di salutarci con un cliffhanger, una cosa vuol dire: ha ancora tanto dire. Questo non può che essere un bene.
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Emanuele D’Aniello