Già dal titolo, l’intento piuttosto è chiaro. Ma rompere e polemizzare le barriere razziali non è l’unico scopo (e risultato) della serie.
Dear White People, la cui prima stagione è interamente disponibile su Netflix dallo scorso 28 aprile, è l’adattamento seriale per il piccolo schermo dell’omonimo film del 2014 (non a caso si porta in dote anche molti volti di quel cast) del regista Justin Simien, ora anche creatore e showrunner della serie. E’ indubbiamente, partendo dalla banalità, un prodotto incredibilmente topico. Non si vergogna mai di esserlo, anzi nel proprio microuniverso affronta più tematiche possibili.
In questa sua audacia, ma soprattutto nella piena sincerità, Dear White People è davvero un piccolo capolavoro.
Capisco che questo crei già delle aspettative enormi, ma anche nel panorama d’oro dell’attuale serialità tv è difficile trovare un prodotto scritto, recitato, diretto così bene. Una serie viva, una serie fresca, una serie giovane. Con piena dimestichezza nel mischiare i toni, con la capacità di essere empatica e didattica al tempo stesso. Che non rifiuta le controversie, e anzi le fa proprie con piena spontaneità. Dear White People non ha mai l’approccio documentaristico, ma i suoi personaggi sono fin troppo realistici.
Semmai, i problemi possono entrare in gioco con la soggettività. Un conto è recepirla in America, un conto qui in Italia.
E’ fuori di dubbio infatti che la serie, essendo così topica, non possa diventare al tempo stesso universale. In Italia, quantomeno ancora fino ad oggi, non viviamo la medesima tensione sociale. Che poi, più che sociale, è puramente etnica e generazionale. E anche la vita del college, pur trasmessa da film e serie americani da decenni, non è mai la nostra. Ma qui c’è lo scarto qualitativo, perché la serie riesce a raccontare problemi sociali attraverso la vita quotidiana dei personaggi. In pratica, la realtà di ogni cittadino nero d’America, anche se a noi pare così difficile crederci.
Dear White People è puramente energica, sempre ricca e continuamente provocatoria. Assale i privilegi dei bianchi, ma non risparmia mai la critica alle divisioni tra gli stessi afroamericani, la loro perpetua incapacità di fare fronte comune di fronte ai problemi, il modo spesso elitario e narcisista in cui vivono la discriminazione (che ci crediate o no, persino il grado di colore della pelle è un ostacolo), ed i paradossi della ghettizzazione della cultura black.
La sua struttura, per cui ogni episodio è dedicato ad un diverso personaggio, permette allo spettatore di conoscere e affrontare i problemi secondo vari punti di vista, familiarizzando facilmente con le loro ansie e ambizioni. Soprattutto, è in grado di passare con grande maestria dal dramma alla commedia, integrandoli tra loro. E così, se una volta ridiamo per la parodia dei film fatti da afroamericani stessi per il loro pubblico (dimostrando la grande autoironica satira della serie), la volta dopo il dramma della brutalità della polizia ci viene gettato senza filtri davanti ai nostri occhi (nel miglior episodio della stagione, il 5°, diretto non a caso dal freschissimo premio Oscar Barry Jenkins). Percepiamo la difficoltà delle relazioni interrazziali, e addirittura un dettaglio come la scelta del gusto musicale riflette l’appartenenza quotidiana.
Dear White People allora è dedicata ai neri, ai bianchi, ai gialli, ai rossi e a tutto l’arcobaleno dell’umanità.
Non pretende di fare la morale a noi bianchi, e nemmeno abbracciare l’uguaglianza in forma utopica. E soprattutto, non prova nemmeno lontanamente a santificare gli afroamericani. Semmai, ricorda ai giovani americani di capire chi sono e affrontare in tal modo i propri problemi, personale e sociali. Lo fa con tanto umorismo e tanta onestà, che non è poco.
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Emanuele D’Aniello