Big Mouth, l’ormone è il tuo miglior amico nella nuova serie tv Netflix

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I cartoni animati sono stati creati per parlare ai bambini. I migliori cartoni animati probabilmente parlano agli adulti. Ora, francamente, è il turno di comunicare qualcosina anche agli adolescenti.

A quella fascia d’età di mezzo, così fondamentale, ci aveva già pensato Inside Out in modo del tutto suo. Ora, in maniera completamente diversa in tono e finalità, arriva anche Big Mouth, la nuova serie d’animazione di Netflix la cui prima stagione già online è composta da 10 episodi di 25 minuti minuti circa ciascuno.

Big Mouth, parlando di adolescenza, non comunica però solo agli adolescenti, ma anche agli adulti che ricordano quella fase della propria vita come decisiva e molto dimenticabile al tempo stesso. La pubertà, ci insegna e ricorda la serie, sa essere molto imbarazzante, e anche molto disgustosa.

Lo avrete capito: è animazione, ma non fate vedere Big Mouth ad un bambino.

Creata in base alla loro stesse esperienze da Nick Kroll e Andrew Goldberg, i cui alter-ego sono i protagonisti della storia, Big Mouth è una serie che, navigando tra un mare di volgarità, ha il coraggio di mostrare la scoperta della pubertà per ciò che è, ovvero un mare di attacchi ormonali, complessi di inferiorità, timidezza, paura di non essere all’altezza, masturbazione a più non posso e cambiamenti fisici non voluti. Il focus è sui due ragazzi, ma la serie intelligentemente mostra anche la prospettiva femminile. E allora Jessi e Missy non ci accompagnano solo a capire le insicurezze delle ragazzine e la scoperta del ciclo, ma anche mostrarci sotto altra lente quanto possa essere degradante e stupida la visione maschile del sesso.

Sesso, è naturalmente questa la parola chiave. Il colpo di genio della serie è aver inventato “Hormon Monster”, l’incarnazione dei pensieri che occupano 24 ore su 24 il cervello degli adolescenti. Non potrebbe che essere un mostro, perché cinicamente pretende attenzione e la succhia via da tutto il resto. La manifestazione dei desideri che da reconditi diventano normali, costanti, e cambiano il senso di vedere le cose.

Probabilmente non è ancora la serie da mostrare a scuola ai corsi d’educazione sessuale, ma non è questo il punto.

Non ne ha la pretesa, il suo scopo più educativo è quello dimostrativo. Ricordare, e quindi capire, quanto la pubertà sia necessaria ma ampiamente traumatica. Quanto il prendere possesso del proprio corpo sia bello ma anche molto umiliante. Big Mouth fa ridere e diverte, non potrebbe essere altrimenti. Stupisce e a tratti disgusta, non applicando mai filtri o freni. Soprattutto, smuove qualcosa: è incredibile la carica empatica verso le frustrazione dei personaggi, verso le paura e il senso di rigetto o inadeguatezza in momenti che tutti abbiamo attraversato. Inoltre, è arguto verso tutto ciò che riguarda “esternamente” la sessualità, che sia l’universale e patetico senso di abbandono quando un amico si fidanza, o sia il contemporaneo problema dell’assuefazione al porno sul web che desensibilizza e distorce la realtà di chi lo vede.

Nell’ultimo episodio ironicamente la serie stessa si chiede se possa farla franca parlando di dodicenni che si masturbano grazie all’animazione, che sicuramente annacqua la carica eversiva. La risposta è sì, perché pur sollevando punti interrogativi, Big Mouth è una serie che mancava. Sarà disgustosa, volgare e molto assurda, ma un’esplorazione così onesta e veritiera delle paure della crescita serve sempre. La provocazione, probabilmente, serve sempre. Essere consapevoli di cosa vuol dire, cosa si guadagna e cosi perde crescendo è sempre fondamentale.

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Emanuele D’Aniello

Malato di cinema, divoratore di serie tv, aspirante critico cinematografico.

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