In realtà, il titolo di questo articolo è un po’ fuorviante, perché non c’è nessun Abele.
Jimmy e Chuck, nel loro decisivo showdown, sono entrambi due versioni di Caino. Chuck è diventato sempre di più il villain della serie, quello che più detestiamo in ogni frase e comportamento. Tifiamo per Jimmy, ma non dobbiamo dimenticare che è veramente colpevole di tutto ciò per cui è accusato.
Ho già sottolineato a più riprese le enormi ed ovvie somiglianze con Breaking Bad. Quasi doverose, essendo questa serie uno spin-off prequel. Somiglianze per i personaggi, per le storie, per il tono. E questo 5° episodio somiglia per il crescendo di tensione e soprattutto per l’uso della psicologia.
Come faceva Breaking Bad, in questa puntata Better Call Saul provoca lo spettatore nel suo esperimento psicologico.
Certo, paragonare Jimmy a Walter White è impossibile. Dopotutto, se quest’ultimo diventava sempre di più un mostro a 360° azione dopo azione, Jimmy anche nei comportamenti più sbagliati dà sempre l’idea di essere una brava persona che, semplicemente, non riesce a comportarsi bene per vari motivi.
E stavolta, noi spettatori tifiamo per una persona effettivamente colpevole. Ciò per cui è messo davanti alla sbarra, lo ha effettivamente commesso. E’ verissimo che Jimmy piega la legge ai suoi scopi. E in questo caso continua a manipolare, a creare macchinazione, a pensare a sotterfugi per avere la meglio. Noi spettatori vogliamo che Jimmy perda ogni inibizione e si trasformi finalmente in Saul Goodman, il nostro è un desiderio sadico che si nutre, dall’altra lato, dell’impossibilità di empatizzare con la spregevolezza di Chuck.
A che prezzo, però, Caino uccide l’altro Caino?
Nel finale, non a caso, non c’è aria di vittoria. Non c’è il sapore particolare della vendetta, è assente anche solo l’ombra di qualche trionfalismo. Jimmy ha probabilmente convinto la corte, ha provato di aver sempre avuto ragione sulla condizione di Chuck, ha dimostrato di averlo davvero sempre amato pur non corrisposto, ma ha perso un fratello definitivamente, sentendosi tirare addosso tutto l’odio e il rancore coltivato per anni. Chuck probabilmente è finito, ma non riusciamo a godere appieno la caduta del “cattivo” perché lo vediamo per la prima volto esposto, per la prima volta umano nei suoi difetti, costretto ad ammettere la propria pazzia. E’ un finale in cui c’è solo spazio per l’amarissima realtà del dolore.
Better Call Saul archivia quindi una delle sue migliori puntate dimostrando che non c’è bisogno della presenza di Mike, Gus, Salamanca e altri messicani, o il perfetto ritorno di Huell adesso, per raggiungere le vette di Breaking Bad. Se negli scorsi episodi si notava una serie spaccata a metà, qui il focus totale sul conflitto tra Jimmy e Chuck ha (ri)creato un vortice emotivo senza eguali, che cattura l’essenza della serie stessa. Torneremo sicuramente molto presto a vedere all’opera i cartelli della droga, ma riprenderci dalla deflagrazione di una famiglia non sarà facile.
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Emanuele D’Aniello