Verdi drammatico, opprimente e porta sfortuna: Macbeth
Dopo una settimana di sosta per motivi personali, riprende il cammino di #CantaCheTePassa con un’opera tremenda di Giuseppe Verdi: Macbeth.
Vorrei iniziare questo mio articolo odierno scusandomi con i lettori di questa rubrica musicale per l’interruzione della settimana scorsa. Tutto ciò era dovuto a motivi personali. Ma eccoci sempre inarrestabili ed oggi parleremo di un’opera cardine di Giuseppe Verdi: Macbeth.
La composizione è tratta dall’omonimo dramma di William Shakespeare ed è un’opera dalle tinte fosche ed altamente drammatiche. È un’opera considerata “porta sfortuna“. Dario Argento, che scelse quest’opera come soggetto del suo film Opera, disse che avvennero dei fatti strani durante le riprese i quali lo convinsero di questo fatto. L’opera, su libretto di Francesco Maria Piave e Andrea Maffei, è andata in scena nel 1847 al Teatro della Pergola di Firenze e poi, in una versione successiva con notevoli differenze, nel 1865 al Théâtre Lyrique di Parigi.
Trama
Macbeth e Banco stanno tornando da un battaglia vittoriosa. In un bosco incontrano delle streghe. Le megere profetizzano a Macbeth che diventerà re di Scozia e a Banco che la sua progenie salirà sul trono. Spinto dalla Lady Macbeth, Macbeth ucciderà il re Duncano per prendere il regno. Malcolm, il figlio del re, scappa in Inghilterra. Macbeth, spinto dalla sua ambiziosissima moglie, ucciderà anche Banco ma il figlio di costui, Fleanzio, riesce a scappare.
Eletto re, durante il banchetto, Macbeth è spaventato dalla visione del fantasma di Banco. Torna nel bosco e le streghe gli rivelano che sarà re finché la foresta di Birnam non gli si muoverà contro. Apprende anche che un pericolo per lui può essere Macduff, nobile scozzese andato in Inghilterra per preparare una sommossa popolare. Macbeth, non trovandolo, gli uccide la moglie e i figli. Desideroso di vendetta, Macduff si unirà a Malcolm. Entrambi uccideranno Macbeth in guerra, con i soldati che si mimetizzano con dei rami della suddetta foresta. La Lady morirà vittima della sua follia.
https://www.youtube.com/watch?v=HM6HCm3No0o&t=6266s
Stile
La musica di Giuseppe Verdi è tetra, anche nei suoi scatti più impetuosi (come la cabaletta della lady Or tutti sorgete). Giuseppe Verdi teneva a questa sua “figlia” in maniera maniacale (fece provare il duetto del primo atto ai due cantanti decine di volte).

Tra le due versioni (quella del 1865 è maggiormente rappresentata) esistono notevoli differenze. Vediamo le più notevoli: il duetto del primo atto è differente (qui potete sentire le due versioni: 1847 e 1865), mentre nel secondo atto l’aria della lady Trionfai viene sostituita nel 1865 con la ben ben più drammatica La luce langue. È differente il finale del II atto (1847 e 1865). come viene completamente modificato il III atto (1847). Nella versione successiva ha un impianto più drammatico, vengono aggiunti i ballabili, e al posto della cabaletta Vada in fiamme ed in polve cada vi è il duetto tra i due protagonisti Ora di morte.
Il IV atto inizia, nella versione 1865, con una versione del coro Patria oppressa differente da quella precedente. Un’altra differenza è nella cabaletta successiva La patria tradita (1847 e 1865). L’opera termina nel 1847 con Macbeth che muore cantando Mal per me che m’affidai mentre nel 1865 con Vittoria.
Incisioni storiche
La prima versione è più risorgimentale mentre la seconda è più drammatica, basti solo pensare al citato coro Patria oppressa e la famosa scena della pazzia della lady. Tra le incisioni della prima edizione consiglierei quella diretta da John Matheson con Peter Glossop e Rita Hunter, che trovate nel post youtube sopra caricato. Tra le edizioni con la versione 1865 interessante è quella incisa da Riccardo Muti con Sherrill Milnes e Fiorenza Cossotto. Altrettanto belle sono quelle di Giuseppe Sinopoli con Renato Bruson e Mara Zampieri e quella di Claudio Abbado (il quale inserisce la morte di Macbeth prima versione prima del coro Vittoria) con Piero Cappuccilli e Shirley Verrett.
Vi aspetto la prossima settimana con I Masnadieri!!
Marco Rossi
(Foto di copertina di Andrea Mohin/The New York Times)