Continua l’avventura di #CantaCheTePassa con una delle opere più belle e drammatiche del giovane Giuseppe Verdi: I due Foscari.
È una musica violenta, drammatica, che non lascia adito alla speranza, quella de I due Foscari, opera in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave tratto dall’omonima opera di George Byron, andata in scena per la prima nel 1844 al Teatro Argentina di Roma. Del resto, è una delle migliori opere dei cosiddetti “anni di galera“, un periodo d’incessante e forzoso lavoro attuato dal nostro sommo maestro.
Trama
A Venezia, durante il Carnevale, si consuma la tragedia di Jacopo Foscari, figlio del Doge Francesco. Egli è accusato di aver ucciso due parenti del rivale Jacopo Loredano. La moglie Lucrezia, disperata, si rivolge al vecchio doge, ma egli afferma che non può far niente. Jacopo Foscari, intanto, rinchiuso nelle carceri, sta impazzendo. Le ore di sofferenza sono alleviate dalla visita dell’amorevole moglie e dell’altrettanto amorevole padre.
Jacopo deve partire per il suo esilio a Creta senza il conforto della moglie e dei figli. Francesco Foscari è disperato; egli ha già perso tre figli ed ora sente l’allontanamento del quarto. In quel momento, Barbarigo, un senatore, porta una lettera in cui un uomo confessa di essere il responsabile dei due omicidi. La gioia lascia però subito al dolore: Lucrezia corre da lui disperata dicendogli che Jacopo è morto per il gran dolore.
In quel momento i membri del Consiglio dei Dieci, capeggiati dal cattivo Loredano, chiedono le sue dimissioni di Francesco dalla carica di Doge. Offeso e sdegnato, egli stesso depone le insegne e, dopo aver sentito le campane di San Marco che annunciano la creazione del nuovo doge Pasquale Malipiero, Francesco muore tra le braccia della disperata Lucrezia.
Stile
Come già il titolo annuncia, la musica de I due Foscari è una musica violenta. Già dai primi accordi dell’orchestra, Giuseppe Verdi ci fa sentire la condanna pendente. Ma vi sono dei momenti veramente estatici come il duetto d’amore tra Lucrezia e Jacopo No, non morrai. Risulta incredibile pensare come un trentunenne compositore riesca già a sottolineare aspetti contrastanti, dalla disperazione di Jacopo fino all’amore sconfinato di Lucrezia. Ma il personaggio più bello è sicuramente quello di Francesco Foscari. È uno dei famosi “padri” verdiani, figura importante della poetica del sommo compositore bussetano.
Francesco è sempre in conflitto tra l’amore paterno ed il rispetto verso una repubblica che lo sta uccidendo; egli stesso dice “prence e padre qui sono“. Esemplificativa in tal senso è la sua bellissima prima aria O vecchio cor che batti e la rabbia del doge sdegnato in Questa dunque è l’iniqua mercede fino al drammatico finale Quel bronzo ferale.
Tra le incisioni, mi sentirei di consigliarne una che possiamo definire a tutto campo storica: quella incisa nel 1976 da Lamberto Gardelli, sul podio dell’Orchestra e del Coro della ORF di Vienna, con il grandissimo baritono recentemente scomparso Piero Cappuccilli, una delle più belle voci del secolo, come Francesco. Nella registrazione vi è una giovanissima (ma in una forma spettacolare) Katia Ricciarelli come Lucrezia ed il trentenne José Carreras come Jacopo, una voce che ci fa toccare il paradiso qui sulla terra, come può testimoniare il video sopra postato con l’aria Dal più remoto esilio.
Ci rivedremo giovedì prossimo con la Giovanna d’Arco di Giuseppe Verdi, ma prima vi saranno sorprese da Roma.
Marco Rossi
(Foto di Marco Brescia e Rudy Amisano – Teatro alla Scala 2016)