Oggi con #CantaCheTePassa parlerà di un componimento particolare di Giuseppe Verdi, un brano che ci emoziona sempre: il suo Requiem.
Per l’anziano Giuseppe Verdi il Requiem rappresenta un brano tanto voluto. Egli stesso promosse nel 1869 la composizione di una messa composta a più mani in ricordo di Gioacchino Rossini. L’inizio purtroppo non ebbe seguito. Per quell’occasione egli compose il Libera me Domine, che poi riadattò e utilizzò come parte finale del suo Requiem successivo. Egli mise mano alla composizione successivamente sulla scia dell’emozione della morte del grande Alessandro Manzoni, e il componimento, scritto per orchestra, coro e quattro solisti venne eseguito per la prima volta nella Chiesa di San Marco a Milano il 22 maggio 1874. L’anno successivo Giuseppe Verdi rielaborò il Liber scriptus, sostituendo il fugato del coro con una bellissima aria per mezzosoprano e coro.
La bellezza del Requiem
Il Requiem è una riflessione sull’anima dopo la morte. Vi è il senso di umiltà dell’uomo, angosciato dalla propria vita e dal dolore, davanti al Dio supremo. Il Kyrie di Giuseppe Verdi inizia piano, sottovoce, come le anime supplichevoli di fronte ad un giudice. Esplode il Dies irae, il giorno del giudizio universale. L’orchestra è in fortissimo, il coro emette suoni laceranti, le grancasse sparano cannonate; affiora il terribile giudizio e l’angoscia.
Ma nel Requiem di Giuseppe Verdi vi è anche il lirismo del Recordare, un duetto tra il soprano e il mezzosoprano, un inno d’amore e d’affetto verso Gesù, ma anche del Lux Aeterna, dove il tremolo dei violini iniziale e il mezzosoprano danno l’idea della luce che viene da Dio, ma il basso, i timpani e ottoni ci ricordano che la punizione divina c’è per tutti. Il Requiem di Giuseppe Verdi è anche la disperazione del Lacrimosa, vera e propria gemma verdiana. Basterebbe solo ascoltare l’inizio degli archi in questo pezzo (che sembrano riprodurre un lamento) per capire la grandezza di questo brano e di Giuseppe Verdi.
Tante belle incisioni
È un’opera struggente, impressionante, che i cantanti e direttori amano. Tra le incisioni da me conosciute ve ne consiglio due. La prima è quella incisa da Antonio Pappano con l’Orchestra ed il Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia con Anja Harteros (soprano), Sonia Ganassi (mezzosoprano), Rolando Villazon (tenore) e René Pape (basso). Il ricordo di quell’esecuzione dal vivo a Roma non mi lascerei mai. Antonio Pappano sa essere dolce ma anche drammatico. Il fuoco verdiano lo domina.
L’altra è quella incisa da Valery Gergiev con l’Orchestra ed il Coro del Teatro Mariinsky di San Pietroburgo con Renée Fleming (soprano), Olga Borodina (mezzosoprano), purtroppo Andrea Bocelli (la cui voce da tenore purtroppo risulta troppo leggera) e Ildebrando d’Arcangelo (basso). Gergiev è impressionante nei momenti drammatici. Basta solo guardare in faccia questo direttore per capire quanto la sua anima sia demoniaca (in senso buono, ovviamente).
Ci sentiamo la prossima settimana con Otello!
Verdi apocalittico e che ha detto “quasi” tutto: Otello
Marco Rossi
(Foto di copertina di Juan M. Romero da WikiCommons, licenza 4.0)