L’allestimento di Shirin Neshat, la direzione di Riccardo Muti e il cast hanno portato al trionfo l’Aida di Giuseppe Verdi in scena a Salisburgo.
L’Aida è un’opera meravigliosa. L’Aida di Giuseppe Verdi è un’opera che nessun melomane si stancherebbe mai di ascoltare. Vi è un errore di fondo sulla meravigliosa composizione verdiana: pensarla solo come un’opera trionfalistica. Aida è un’opera fortemente intima e delicata. La vera Aida inizia dopo i trionfi, dal III atto in poi, con violini sopracuti che rievocano il fluire del Nilo. In quel momento inizia la vera e propria tragedia. Aida deve scegliere tra l’amore per Radamès e l’amore per la sua patria. Ciò causerà la sua condanna e quello del suo amato. La loro storia d’amore è dominata dall’incubo di un potere dominante e asfissiante che non lascia scampo.
Aida mancava dalle scene del Festival di Salisburgo dal 1980, quando il direttore era Herbert von Karajan e i protagonisti erano Mirella Freni e José Carreras.
La forza di Aida
Il destino nel 2017 ha fatto incontrare Shirin Neshat alla regia, grande videoartista iraniana, e Riccardo Muti, grande direttore verdiano, sul podio. La Neshat mette sapiente l’accento sulle conseguenze della guerra tra le forze guidate da Radamès e l’esercito etiope guidato da Amonasro, padre di Aida. La ragazza intanto è schiava della rivale Amneris. Le scene di Christian Schmidt, con un’enorme costruzione bianca, rievocano l’ineluttabilità del destino di Aida. Le riproduzioni video (l’arte geniale della Neshat) con lo scorrere del Nilo, immobili e giganti sacerdoti nella scena del giudizio di Radamès e le inquietanti apparizioni del popolo etiope nell’immaginario di Aida sono semplicemente magistrali.
Sotto il palco c’è Riccardo Muti con la sua visione condivisa da un cast favoloso. Anna Netrebko è una magnifica Aida, Luca Salsi dipinge un Amonasro granitico così come il Ramfis di Dmitry Belosselskiy. Ekaterina Semenchuk crea un’Amneris forte e passionale mentre purtroppo Francesco Meli come Radamès, complice l’essere il debutto, non risulta convincente e con difficoltà in acuto. I Wiener Philharmoniker, la Angelika-Prokopp-Sommerakademie der Wiener Philharmoniker ed il Konzertvereinigung Wiener Staatsopernchor sono quanto di meglio un direttore possa chiedere. Riccardo Muti ha accompagnato con grazia e leggiadria i momenti più elegiaci. Il limite del direttore italiano è quello di non lasciarsi mai andare all’emozione . Purtroppo, i momenti trionfalistici, come il famoso coro Gloria all’Egitto, sono stati trattati con troppa velocità. Ma sono dei piccoli nei nell’empireo della musica.
Giuseppe Verdi, dalla sua nuvoletta, ringrazia tutti. Ringrazia anche il canale ARTE per la diretta del il 12 agosto 2017. Noi, umilmente, ringraziamo lui e la sua genialità.
Data l’importanza, sarebbe stato un bene trasmettere quest’evento anche sulle reti italiane. La cultura in Italia è merce rara.
Marco Rossi
(Foto Aida © Salzburger Festspiele / Monika Rittershaus)