Le ragazze del Settantacinque già dal titolo lascia facilmente intendere che il tema principale del romanzo è l’emancipazione femminile.
Le protagoniste sono quattro giovani amiche romane, studentesse e lavoratrici, che decidono di recarsi in campeggio a bordo di una 500 poco affidabile, lasciandosi alle spalle storie d’amore al capolinea e ménage à trois. L’intreccio si scioglie per bocca di Valeria – fotografa nel vivace mondo culturale capitolino, affiancata da Stefano, un partner (nella vita e nel lavoro) non proprio affidabile – e si amplia fino a toccare passato e presente anche delle sue compagne.
Non solo solita dilungarmi troppo nei dettagli della trama, perché credo che un libro vada gustato fino in fondo, vorrei però sottolineare alcuni tratti molto interessanti che ho riscontrato sia a livello concettuale che nell’usus scribendi di Carla Apuzzo.
Prima di tutto ho adorato la familiarità dei luoghi descritti dall’autrice, che sono quelli in cui vivo: da Monte Mario ai teatri di Trastevere, piccole lucciole che animano costantemente le mie notti.
Di Roma si evince non solo l’attivismo di quegli anni, ma anche il “valore inestimabile” della sua grandezza, che consentiva alle ragazze di essere libere senza essere giudicate. Dettaglio tutt’altro che trascurabile nelle realtà più piccole (negli anni Settanta e, perché no, anche oggi?), dove l’apparenza la fa da padrone e alcuni luoghi comuni restano davvero difficili da scalfire. Il paradosso, come si ricorda nel libro, è che, nonostante la riforma legislativa del maggio del ’75 prevedesse la parità tra i sessi, la donna continuava ad essere trattata come persona di serie B in famiglia.
Proprio in questo limbo s’impone con fermezza la libertà sessuale delle protagoniste, la genuina irriverenza, la preziosa spontaneità. Caratteristiche che onestamente riscontro in poche donne mie coetanee e che stento a ritrovare in mia madre, ventenne negli anni Settanta. Il tutto viene raccontato con descrizioni piacevoli e mai ridondanti, caratterizzate da un linguaggio che alterna il registro più alto, tipico della narrazione, a quello dialettale dei dialoghi.
Non vi aspettate un libro pesante, militante o storico: si tratta a tutti gli effetti di un romanzo dal gusto diaristico, a tratti molto divertente, da cui si possono trarre molte informazioni, prettamente a livello antropologico.
Le ragazze del Settantacinque è dunque un assaggio – non indigesto – di donne combattive, riflesso di un periodo storico che ha segnato l’evoluzione della condizione femminile, non tanto all’esterno quanto all’interno di noi stesse, seminando, seppur a volte con irruenza, quelle piante da cui oggi possiamo bere liberamente il succo, distese sul campo della nostra vita.
Alessia Pizzi