“Il cielo sopra il Pigneto”: canto d’amore a un luogo dell’anima

pigneto

Pigneto, tra Pasolini e le centrifughe: storia di un’identità di luogo secondo Cristiano Ranalletta.

Spazio geograficamente vago – inesatto, quasi, in termini di coordinate geometrico-spaziali – il Pigneto è un campo emozionale di tuaniana memoria [1], un collettore di storie stratificatesi nel tempo sino a definire i caratteri di un luogo unico, distinto da quella fetta di Roma – Tor Pignattara – cui pur appartiene condividendone confini e anima popolare. È una realtà non scontata quella che vuole il Pigneto definito dall’interazione fra abitanti e strade, una sorta di grande spugna urbana che assorbe i sentimenti degli individui incamerandoli in edifici, muri scrostati, bar alla moda e trattorie caserecce.

Nessun quartiere può aspirare a ricoprire il ruolo di termometro socio-culturale delle odierne tendenze come quest’area stretta tra Casilina, Prenestina e piazzale Labicano.

Il Pigneto registra i mutamenti storico-sociali sin dagli albori della “nuova Italia”, quando la sua anima vitale e borgatara rappresentava per Pasolini un baluardo di purezza sottratto agli effetti livellanti del «fascismo dei consumi». Il pensiero pasoliniano – esaltato sino alla distorsione – rappresenta del resto per il Pigneto un’eredità trasformata in marchio di fabbrica, un brand cresciuto di pari passo con la gentrificazione imperante.

Soltanto quest’angolo di Roma riesce a coniugare in un sincretismo azzardato elementi che sarebbero l’uno la negazione dell’altro.

La «mutazione antropologica» passa attraverso la degradazione a icona pop dell’intellettuale che più denunciava l’omologazione e il «trionfo della borghesia». È un paradosso divenuto oggetto d’analisi, il fulcro di una narrazione del territorio che si accompagna alla descrizione di un’area ostaggio di criminali stranieri. C’è un Pigneto vissuto e uno raccontato, ma non è detto che le due forme non possano compenetrarsi per restituire un’immagine sincera della sua attuale essenza. È quanto tenta Cristiano Ranalletta ne Il cielo sopra il Pigneto, romanzo il cui titolo reca già in sé le tracce di una duplice suggestione, evocata dalla citazione di un caustico articolo di Andrea Minuz [2] e da quella, più nostalgica, della pellicola wendersiana Der Himmel über Berlin.

I due sguardi sul territorio sono riportati dall’autore mediante un’eco di rimandi volutamente sfacciata, volta a mettere in luce quella fusione di “hipsterismo” e popolanità che del Pigneto costituisce la nuova cifra identitaria.

Non è casuale, allora, la scelta di dar vita a un protagonista che riassume in sé il meticciato socio-culturale del quartiere, preso com’è da una vita vissuta tra Tor Pignattara e il centro, trasferte all’estero e incontri con l’amico-mentore giapponese. Federico è un uomo rampante che non disdegna le iniziative dal basso, discetta di felicità e pensieri col titolare di una lavanderia e prende parte a feste esclusive per il lancio di app.

pigneto
Immagine concessa dall’autore

Il suo ritorno al quartiere natio coincide con l’incontro di una donna avvenente, vera e propria ossessione totalizzante per i meandri della sua psiche.

Di lei Ranalletta racconta tutto senza mai esplicitare, fissa l’immagine del suo corpo negli engrammi di Federico mentre ne indaga a fondo lo sguardo mesmerico e penetrante. Gli occhi di Roberta sono una porta d’accesso ai desideri del protagonista, e non è un caso che il finale metta in scena una sorta di sovrapposizione tra la donna e il quartiere. A muovere i sentimenti del protagonista è un amore che si fa eterno ritorno, travolgente richiamo alle origini di una felicità ineguagliabile. Così, attraverso una storia che indugia sui corpi e si compiace, finanche, di uno sguardo maschile dispensato a piene mani, l’autore delinea la trama di un’urbanistica del cuore che non teme i cliché né la decostruzione di miti.

Il rapporto tra Federico e Roberta è un gioco di equilibrio, una prova di stabilità da funamboli come per l’angelo e l’acrobata del Cielo sopra Berlino.

Così è il Pigneto, territorio le cui contraddizioni viaggiano sul filo di una corda tesa che riesce a trovare il modo di non spezzarsi mai. Il romanzo di Ranalletta è pertanto, e soprattutto, un atto d’amore, l’esplicitazione di un legame viscerale che trascende asperità e insoddisfazioni. Esiste forse qualcosa di meglio per descrivere un luogo?

 

Cristiano Ranalletta
Il cielo sopra il Pigneto
Viterbo, Scatole parlanti, 2019
pp. 130

 

Ginevra Amadio

 

 

[1] Y.-F. Tuan, Space and Place. The Perspective of Experience, Minneapolis, University of Minnesota Press, 1977.

[2] A. Minuz, Il cielo sopra il Pigneto, in “ IL” (mensile del “Sole24Ore”), febbraio 2015.

Giornalista pubblicista, laureata in Lettere e Filologia Moderna. Lettrice seriale, amante irrecuperabile del cinema italiano e francese.

COMMENTA QUESTA DOSE DI CULTURA

Lascia un commento!
Inserisci il tuo nome qui