Libro panacea. Due chiacchiere con la biblioterapeuta

biblioterapia

Aprire un libro e tirare un sospiro di serenità, accarezzarne le pagine provando curiosità e trepidazione, oppure ricordando le sensazioni che ci ha trasmesso leggendolo.

Librerie immense, compratori compulsivi di libri, citazioni sul piacere di leggere: community intere di lettori sono raccolte dai social network, ma quanti di loro sanno che il libro ha davvero, strictu sensu, una finalità terapeutica? La biblioterapia è una realtà, molto più anglosassone che italiana al momento, ma pochi ne conoscono le origini e gli sviluppi attuali. “Due Montalbano prima dei pasti” cita un recente articolo de La Lettura riferendosi  alla “Terapia Camilleri“, ideata dalla dottoressa Loretta Salvati per combattere i disturbi ossessivo-compulsivi (ovvero quelle fissazioni irrazionali che portano molte persone a compiere frequentemente gli stessi gesti) attraverso la lettura dei romanzi dell’autore. Incuriosita da questo nuovo approccio, ho deciso di intervistare la dottoressa Rosa Mininno, fondatrice del primo sito di biblioterapia italiano nonché della prima scuola, che ha sede a Tivoli.
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Prima di tutto, cos’è la biblioterapia?
La biblioterapia è una tecnica integrata alla psicoterapia.Complessivamente si tratta di un percorso scelto e guidato da un esperto, che conosce tanto la letteratura quanto le dinamiche psichiche. Il paziente si immedesima e si confronta con testi e personaggi che poi vengono sviluppati. Esistono comunque due accezioni di biblioterapia: una è clinica e viene applicata in psicoterapia, l’altra è educativa e formativa e consente un coinvolgimento di più attori, tra cui biblioteche, associazioni ecc. al fine di creare una sinergia culturale importante, un circolo virtuoso nel tessuto sociale che porti al confronto e alla crescita collettiva.
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A che punto è la biblioterapia in Italia?
In Italia purtroppo siamo colpiti dalla malattia della “non lettura” (paradossalmente, vista la nostra tradizione letteraria), mentre leggere può dare tante opportunità nella vita. Qui la biblioterapia non è molto conosciuta, ma ha una storia che risale ai primi del Novecento. Dall’America si è diffusa particolarmente nei paesi anglosassoni, tanto che in Inghilterra è adottata addirittura dal sistema sanitario nazionale, visto che l’efficacia della tecnica è certificata.
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Come si è avvicinata a questa tecnica?
Nella mia formazione personale c’era la letteratura, ma in Italia non esistevano corsi di formazione. La tecnica l’ho presa da Ian Falloon, che a Londra applicava la biblioterapia per aiutare pazienti e familiari. Dal 1998, quindi, suggerisco la biblioterapia per superare vari tipi di disturbi: da quelli dell’ansia e dell’umore a quelli alimentari. Ma non solo, l’approccio è utile anche per le nuove dipendenze, ovvero quelle da internet, videogiochi, gioco d’azzardo e shopping compulsivo. Il libro consente di ricreare quella dimensione culturale e temporale che si viene a perdere in queste circostanze. La lettura in solitudine è positiva e non è paragonabile all’isolamento creato dal web, perché quest’ultimo non consente di sviluppare un pensiero critico.
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E in Italia come ha portato avanti la biblioterapia?
Intanto ho fondato il primo sito dedicato alla biblioterapia e dal 2006 sono stata molto attiva con corsi e workshop. Quest’anno ho anche fondato a Tivoli S.I.B I. L.L.A., la prima Scuola Italiana di Biblioterapia, del Libro, della Lettura e delle Arti, dove da settembre partiranno svariati corsi per gli operatori sanitari, insegnanti, librai e bibliotecari, ma anche per genitori e bambini.
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In ambito accademico qualcosa si è mosso?
La biblioterapia inizia ad essere protagonista di diverse tesi di psicologia, scienze della formazione, ecc. All’Umberto I di Roma è stata inaugurata nel 2012 una biblioteca nel reparto Oncologico, ma anche l’ospedale di Perugia è molto attivo: ad aprile è uscita una ricerca italiana sulla rivista Scienze e Ricerche, circa gli effetti positivi che la biblioterapia può avere sul decadimento cognitivo. Il libro può  davvero scardinare il sistema di chiusura e porta a chiedere aiuto, quindi si crea una rispondenza, che non giova solo ai pazienti, ma anche agli operatori.
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Che mi dice di tutti quei manuali di autostima che vediamo in giro?
Quelli sono terribili: promettono guarigioni immediate e spesso nuocciono anche di più.
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Qualche libro per la biblioterapia?
Ci sono libri buoni e libri cattivi: io prediligo i classici, ma apprezzo anche autori moderni come Gramellini e D’Avenia. Non sono da sottovalutare i saggi, come “Donne che corrono coi lupi“. Ho apprezzato molto “Natura come cura” di Mabey, dove l’autore racconta la sua storia di depressione superata attraverso il contatto con la natura, oppure “Come i libri mi hanno salvato la vita” della Walker. Per superare la perdita di una persona cara spesso consiglio “Dove lei non è” di Barthes. Evito i gialli e gli horror perché non sono testi utili per lavorare sulla violenza e l’aggressività.
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Un ricordo particolare su un libro consigliato ad un paziente?
Un signore ha letto Madame Bovary e mi ha detto che il libro gli ha illuminato la mente. Si è identificato con lo stato d’animo della protagonista, il bisogno di riscatto e la sensazione di oppressione… sa, non esistono libri per uomini e libri per donne!
Dottoressa Rosa Mininno
Alessia Pizzi
Laurea in Filologia Classica con specializzazione in studi di genere a Oxford, Giornalista Pubblicista, Consulente di Digital Marketing, ma soprattutto fondatrice di CulturaMente: sito nato per passione condivisa con una squadra meravigliosa che cresce (e mi fa crescere) ogni giorno!

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