Sono pochi i registi capaci di trasformare grandi romanzi in film destinati a entrare nella storia del cinema. Joe Wright è uno di questi.
Maestro degli adattamenti letterari – da Orgoglio e pregiudizio ad Anna Karenina, passando per Espiazione – con i suoi movimenti di macchina coreografici, i frequenti omaggi al mondo dell’arte, cast stellari spesso capitanati dalla musa Keira Knightley, Joe Wright infonde vita propria a un cinema che si fa danza dell’immaginazione.
Aggiornata all’uscita in sala dell’ultimo film – L’ora più buia, con protagonista uno straordinario Gary Oldman, vincitore del suo primo premio Oscar come miglior attore protagonista – arriva nelle librerie “Joe Wright: la danza dell’immaginazione, da Jane Austen a Winston Churchill”, la prima monografia italiana in assoluto dedicata alla produzione del regista britannico, che segue e analizza ogni passaggio della carriera, inclusi gli esordi in tv e le pubblicità per Chanel, ricercando analogie e divergenze di uno stile sempre in bilico tra realismo e fantasia. Il libro è impreziosito dai contributi di due collaboratori storici di Wright: il direttore della fotografia Seamus McGarvey e il compositore Dario Marianelli, premio Oscar per la colonna sonora di Espiazione.
In occasione dell’uscita del libro ho avuto il piacere di intervistare l’autrice, la giovane critica cinematografica Elisa Torsiello. Scopriamo come è nata l’idea di questa monografia e soprattutto la sua passione per l’autore inglese.
Partiamo dalle cose ovvie: perché un libro su questo regista?
Diciamo che la scelta è stata dettata dalla mia passione per Joe Wright, il mio terzo regista preferito dopo Alfred Hitchcock e David Fincher. Ho sentito sin da subito una sorta di simpatia intellettuale tra me e questo autore, perché è così che lo reputo, sin dalla prima visione di Orgoglio e pregiudizio. Una simpatia che si è andata poi confermando con le sue varie prove da regista, una su tutta Espiazione. È grazie a lui e a questo film, senza dimenticare Dario Marianelli e Seamus McGarvey, se ho iniziato a scrivere di cinema. Se ho deciso di approcciarmi a questo mondo in maniera più seriosa e attenta agli aspetti tecnici e non solo attoriali.
Rimasi infatti estasiata dai movimenti di macchina e da come indugiava elegantemente sui dettagli che, una volta uscita dalla sala, corsi in camera mia a scrivere la mia prima recensione. Mi ripromisi che avrei smesso di andare a vedere un film solo perché c’era un dato attore, o una data attrice, ma che avrei posto più attenzione ai significati nascosti dietro ogni movimento e ogni elemento in scena. Insomma, diciamo che con questo libro ho voluto ringraziare in maniera alternativa Joe Wright per avermi indicato la strada da intraprendere nel mio futuro.
Come è nata l’idea di questo progetto e soprattutto la collaborazione con la prestigiosa collana Bietti Heterotopia?
Credo vi sia sempre stata in me la volontà di scrivere qualcosa su Joe Wright. Una necessità, questa, ancora più sentita dato che nessuno intendeva scrivere nulla a riguardo e io non potevo accettare che un regista così particolare rimanesse relegato nell’oscurità.
A darmi la spinta finale è stata la visione di Pan alla Festa del cinema di Roma. Attesi con trepidazione quel film, ma a fine proiezione non nego di essermi sentita delusa e quasi “tradita”. Mi continuavo a chiedere “cosa è andato storto?”. E “cosa ha fatto Joe per aver realizzato un film così debole e poco adatto alle sue corde?”. Capii che per rispondere a tali quesiti avrei dovuto risalire all’inizio della sua carriera. Analizzare ogni sua opera per comprendere il suo modus operandi e gli stilemi che caratterizzano la sua visione autoriale. Solo così potevo capire cosa non era funzionato in Pan, e quali elementi poco consoni al suo stile erano stati apportati, oppure eliminati. Alla fine quello studio è stato la linea di partenza di questo libro.
Per quanto riguarda la Bietti diciamo che già conoscevo l’alta qualità della loro collana di cinema – Bietti Heterotopia – perché in passato avevo acquistato i loro volumi dedicati a Wes Anderson e Christopher Nolan. Una volta ultimata una prima bozza del libro decisi di proporla a quelle case editrici di cui nutrivo una forte stima. Tra queste c’era naturalmente la Bietti, la quale con mia grande sorpresa ed emozione accettò di puntare su questo mio progetto.
Ne approfitto per ringraziare in particolar modo Ilaria Floreano, la mia curatrice. È stata lei la prima a correre il rischio e a credere in questo lavoro. So che Joe Wright non è Paul Thomas Anderson, o David Lynch e che molti non lo conoscono come dovrebbe, per cui spero con questo libro di colmare tale lacuna e ampliare la conoscenza della sua arte a un numero maggiore di appassionati di cinema e non solo.
Prima di scoprilo leggendo il libro, puoi anticipare quali sono i tratti più caratteristici di Wright che lo rendono un autore così unico?
Innanzitutto il dialogo con le arti in tutte le sue forme. Non vi è un solo film che non rimandi, anche implicitamente, al mondo del teatro, dell’arte figurativa, o al cinema stesso. L’universo cinematografico di Wright vive di arte. Ogni elemento sulla scena è come se appartenesse a un mondo altro e Joe lo avesse preso in prestito per integrarlo armoniosamente nella sua opera. Si pensi solo all’uso del teatro in Anna Karenina, alle finestre o alle porte usate come aperture teatrali in L’ora più buia, o alle posizioni assunte dagli attori sulla scena tali da ricordare dei tableaux vivants.
Uno dei leitmotiv che ricorre più spesso nel cinema di Wright è quello che ha dato il titolo a quest’opera: la danza. Che sia quella eseguita dai personaggi, o quella della macchina da presa – si pensi a come si muove sinuosa e silenziosa tra i soldati nel piano sequenza di Dunkirk in Espiazione – il cinema di Wright danza sempre e in punta di piedi. Ovviamente ci sono altri migliaia di elementi ricorrenti che rendono unico il lavoro di questo regista. Uno su tutti la ripresa nel dettaglio di mani e occhi, come correlativo oggettivo dei nostri sentimenti. Spero che con questo libro io li abbia elencati in maniera corretta e interessante.
Pur avendo realizzato film famosi e premiati, Joe Wright non è stato ancora candidato all’Oscar e soprattutto in Italia non è un regista noto. Secondo te c’è un motivo?
Me lo sono chiesta anche io e sono arrivata alla conclusione che Joe Wright tende a essere relegato nella sfera dei “registi inglesi commerciali e dei buoni sentimenti” semplicemente perché ha firmato opere che piacciono prevalentemente a un pubblico femminile. Certo, è stato lanciato da Orgoglio e pregiudizio, tratto dal romanzo sentimentale per antonomasia, e ha portato in scena Anna Karenina, ma quello che si tende spesso a dimenticare è come ha adattato per lo schermo tali opere. Nessuno prima di lui aveva pensato di racchiudere il mondo ideato da Tolstoj all’interno di un teatro, svecchiando il nucleo letterario d’origine. Allo stesso tempo si è dimostrato capace di affrontare tematiche ben più impegnative, come un biopic su un’icona storica come Winston Churchill, o il genere thriller con Hanna. Quest’ultimo lo ritengo uno dei migliori film della sua carriera, e spero con tutto il cuore venga prima o poi rivalutato.
Che siano film tratti da romanzi, o ideati ex-novo, ogni opera si distacca dalle pagine da cui è nata, proponendosi agli occhi degli spettatori come qualcosa di diverso e innovativo. È l’impronta di Wright, il suo continuo lavorare in equilibrio tra verosimiglianza e immaginazione a rendere possibile tutto ciò. Per quanto riguarda una sua affermazione nel campo dei premi Oscar non so darti proprio una risposta. I suoi film sono sempre apprezzati dall’Academy, lo dimostrano le innumerevoli candidature sia attoriali che tecniche ricevute in passato. Perché lui venga ignorato è un mistero che ancora non sono riuscita a risolvere.
In conclusione, perché un cinefilo dovrebbe aggiungere ai suoi scaffali un libro su Joe Wright?
Perché lo stesso Joe Wright è un cultore del mezzo cinematografico e si sente. Senza ricorrere alle citazioni, il suo cinema è ricco di omaggi a quelli che lui stesso reputa suoi maestri, da Alan Clarke a Robert Bresson. Se visti sotto un’ottica differente, sono sicura che anche i cinefili più accaniti potranno cogliere questi riferimenti sottesi e impliciti, apprezzando così un’autorialità ancora troppo spesso rinnegata. In Joe Wright si nasconde un autore, perché è facile cogliere il suo tratto, il modo in cui muove la cinepresa e l’attenzione riposta in certi dettagli, atti a tradurre visivamente concetti altrimenti difficili da esprimere come i sentimenti. Con questo libro non ho fatto altro che tracciare un sentiero e riempirlo di indizi e input; starà poi al lettore, cinefilo o non, seguirlo ed esplorare un mondo fino ad ora ingiustamente sottaciuto e abbandonato.
Non possiamo che ringraziare Elisa Torsiello per questa chiacchierata. Soprattutto, consigliarvi il suo libro.
“Joe Wright: la danza dell’immaginazione, da Jane Austen a Winston Churchill” lo trovate nelle librerie e online. Rappresenta davvero una lettura imperdibile per ogni cinefilo, e un’occasione per scoprire un grande autore per un lettore meno appassionato. Lasciatevi rapire anche voi da quella danza che è il cinema, e che Wright incarna perfettamente nei suoi film
.
Emanuele D’Aniello