Quanto è difficile crescere? E quanto può essere complicato quando non ti senti conforme? Ce lo racconta Federica Tuzi in Più veloce dell’ombra (Fandango Editore).
L’adolescenza è quel momento della vita a cui tutti guardano con terrore, anche una volta che se la si è lasciati alle spalle. È l’incubo dei genitori, ma anche dei figli che iniziano a provare malumore nei confronti di tutto e di tutti, senza capirne veramente il motivo. Oggi, gli studiosi ci dicono che l’età adolescenziale si è allungata, non riguardando più di fatto solo i teenagers, ma anche i ventenni. Tutto questo a causa del periodo storico particolarmente instabile dal punto di vista sociale ed economico in cui ci ritroviamo a vivere. Per la gioia di tutti noi.
Si sa che quanto più una cosa provoca disagio nella vita, tanto più essa viene esplorata e raccontata dall’arte. La storia della letteratura è piena di adolescenti che, mentre superano particolari ostacoli, scoprono i loro punti di forza, definiscono il proprio carattere, affrontano i limiti personali e sociali. Pensiamo a tutti gli adolescenti dei romanzi fantasy o dispotici. Oppure, ci sono quelle storie che ci fanno rivivere tutto il dramma del non essere più bambini e neanche degli adulti. Pensiamo al giovane Holden e a tutti i suoi parenti letterari.
Alessandra, la protagonista di Più veloce dell’ombra, è a metà tra Holden e un qualsiasi adolescente che potremmo incontrare nella vita di tutti i giorni.
Non conosciamo i nomi dei genitori della bambina, ma solo i nickname che lei gli dà: Magnum P.I. e la Charlie’s Angel. I due non sono visti dalla figlia come persone, ma come dei veri e propri modelli di perfezione che lei non solo sente lontani, ma inarrivabili. La piccola Ale, infatti, oltre a essere in sovrappeso, ha anche numerosi tic che le impediscono di comportarsi in maniera spontanea e di avvicinarsi ad altri ragazzini. Costretta dalla madre a stare perennemente a dieta (senza ottenere risultati) e rifiutata dai compagni di classe perché diversa, Alessandra è sola alla scoperta del mondo. Deve anche confrontarsi con la scoperta della propria omosessualità, elemento che contribuisce a farla sentire diversa ed emarginata.
Eccoli lì i miei genitori: Magnum P.I. e la Charlie’s Angel, sorridenti e in posa come se avessero dovuto farsi fotografare per la copertina di Tv Sorrisi e Canzoni. Sfoggiavano sessantaquattro denti bianchi, due spruzzate di stelline dentro agli occhi e quella loro aria da: facciamo finta che non è successo niente.
L’unico essere vivente da cui Alessandra riesce a sentirsi pienamente accettata è Frida, la sua cagnolina.
Sarà proprio grazie a Frida e ai terribili sbagli commessi nel prendersene cura (come può essere attenta una persona che non sa cosa siano le attenzioni?) che la protagonista avrà l’occasione di capire che cosa significhi essere consapevole delle proprie azioni. Allo stesso tempo, anche la madre riuscirà a trovare un modo per dialogare con la figlia, riconoscendo i propri sbagli e cercando un rimedio.
Nella presentazione del libro si legge che Più veloce dell’ombra non è un romanzo di non formazione.
Non mi trovo pienamente d’accordo con quanto detto. È vero che per tutto il libro seguiamo la storia di una bambina che agisce per istinto, mossa da necessità basilari o dalla noia. Alessandra non riesce a immaginare le conseguenze di determinati comportamenti, né comprende le risposte delle persone ai suoi atteggiamenti. Quando manca la comprensione, ovviamente non può esserci una maturazione. Eppure tutto quello che la protagonista vive farà parte della sua crescita perché costituisce un’esperienza. Tutto il suo percorso contribuirà a renderla adulta, anche se noi non lo vedremo.
La lettura del romanzo è veloce, ma non è affatto comoda.
Spesso il lettore è frustrato dall’ingenuità di Alessandra, dal suo non capire, dalle sue scelte impulsive. Capita spesso di entrare in empatia con questo personaggio per poi sentirsene completamente lontani appena girata la pagina. La narrazione in prima persona aiuta l’identificazione, ma l’ingenuità di Alessandra può creare anche distanza. Chi legge deve confrontarsi con il senso di solitudine inconsapevolmente avvertito dalla bambina. Deve fare i conti con la mancanza di dialogo tra la protagonista e i suoi genitori/compagni di classe/insegnanti/ragazze amate/mondo degli adulti. Si è investiti dalle situazioni; si può provare compassione, ma anche tanta rabbia.
Si parla molto anche di differenza, di che cosa vuol dire essere la pecora nera del gregge. I tic di Alessandra, il suo peso, la sua stranezza spaventano i suoi coetanei che o la escludono o la rendono vittima di bullismo. E questo perché la protagonista non è conforme a un ideale di bellezza e di sanità. E tutto parte già dalla famiglia. La madre di Alessandra è la prima a non accettarla così com’è e a richiedere spesso una figlia “normale”. Sono parole molto forti da sentire, soprattutto se vengono da un genitore. Il libro di Federica Tuzi ti porta a riflettere su quanto sia difficile essere se stessi senza farsi inghiottire dalle opinioni sociali.
Il rapporto tra madre, padre e figlia è molto ben rappresentato. Non solo è realistico, ma racconta tutte le difficoltà che i genitori possono incontrare nel processo educativo e quanto il dialogo debba essere una parte fondamentale di esso.
Un libro interessante, scorrevole, scritto in maniera molto semplice e lineare. Uno sguardo limpido sull’adolescenza che ne restituisce tutta la gamma emotiva che la caratterizza.
Federica Crisci