“Quando leggo di una strega gettata nel fiume, di una donna posseduta dai diavoli, di una levatrice esperta di erbe…penso che siamo sulle tracce di un romanziere perduto, di un poeta costretto al silenzio, di qualche muta e ingloriosa Jane Austen, di qualche Emily Bronte che si sarà fracassata il cervello fra le brughiere…” [Virginia Woolf]
Se molte sono le
donne storiche di cui non si parla mai, altrettante sono quelle poche emerse dal silenzio e poi etichettate come pazze. Visto che in passato era comune definire con eloquenti epiteti le icone della vita sociale e politica – ricordiamo senza dubbio
Pipino Il Breve,
Alessandro Magno,
Filippo il Bello – quando si parla di donne, si sa, la situazione si complica inevitabilmente. Così abbiamo anche
Maria La Sanguinaria e
Giovanna La Pazza.

Proprio su quest’ultima figura, che preferiamo ricordare come Giovanna di Trastamara, o Giovanna di Aragona e Castiglia, si concentra il romanzo di Adriana Assini, Le Rose di Cordova, felicissimo tentativo di percorrere la vita della duchessa/principessa/regina attraverso gli occhi della sua schiava. In questo modo il lettore viene catapultato nella quotidianità intima dell’infanta, imparando a conoscere gli aspetti della sua peculiare personalità. Amante della cultura in tutte le sue sfaccettature, Juana si rivela malinconica e lunatica sin da giovanissima. Superato l’ingenuo amore che la legherà a Filippo d’Asburgo fino alla morte di quest’ultimo, ella rivela un’indole fiera e belligerante, specialmente di fronte ai continui colpi inferti dal coniuge. Vittima mai passiva del partner, la regina paga il prezzo di essere donna anche col padre Ferdinando II d’Aragona e col figlio Carlo (poi Carlo V), che la sottomettono a politiche matrimoniali volte solo alla conquista del potere. E fu proprio il padre, tra l’altro, a divulgare la notizia della demenza che l’avrebbe assalita dopo la morte di Filippo, facendola relegare per il resto dei suoi giorni nel castello di Tordesillas. La delusione esistenziale, la gelosia amorosa, la maternità, ogni sentimento è filtrato attraverso lo sguardo della sua fedele schiava, legata a lei da un catulliano odi et amo, dal disprezzo per l’unione forzata all’affetto inevitabile nei confronti della sua – seppur imposta – compagna di vita.
Perché scegliere proprio Juana tra tutte le donne storiche?
Credo che sia stata lei a scegliere me. L’ho incontrata per la prima volta nella
biblioteca dell’Accademia Belgica, dove ero andata a caccia di documentazione per un altro mio romanzo. Sul tavolo assegnatomi c’era un enorme tomo aperto, sbirciai e mi resi conto che il testo – scritto in francese antico e in caratteri gotici – era un’opera di
Pietro Martire d’Anghiera, ciambellano e mentore della regina Isabella la Cattolica. In quelle pagine, lasciate aperte da chissà chi, si raccontava un episodio drammatico di cui l’Anghiera stesso era stato testimone e che aveva visto come protagonista proprio Juana. Da quanto lessi, mi insorse subito il dubbio che quella giovane nobildonna descritta dalla penna di un uomo del Cinquecento come una povera creatura fragile di nervi potesse essere, in realtà,
soltanto un’anticonformista, un’autentica ribelle. Presi a cuore la faccenda e cominciai a indagare…
Quale tipo di lavoro c’è dietro un romanzo storico di questo tipo?
In linea di massima, se ci si accontenta della versione ufficiale dalla storia che vogliamo raccontare, il lavoro è più agevole e veloce. Io ho scelto, invece, di “sentire tutte le campane”, tanto più le voci fuori dal coro, e questo ha comportato un maggiore impegno per reperire notizie e opinioni anche da fonti meno conosciute e meno “allineate”. In compenso, è stato un viaggio appassionante tra vecchie e nuove carte, a volte con testi editi soltanto in francese o in spagnolo, copie anastatiche di lettere originali dei protagonisti della storia, pubblicazioni ingiustamente cadute nell’oblio ecc. Un dato interessante di questo tipo di ricerca è anche la possibilità di verificare la coriacea persistenza nel corso dei secoli di molti pregiudizi, l’origine lontana della corruzione dei costumi e dei sentimenti. Insomma, il cuore antico degli stessi vizi e virtù dei giorni nostri.
Com’è nata l’idea di filtrare il racconto attraverso gli occhi della schiava?
Tra le stravaganze di Juana, si annovera anche la pretesa di contornarsi di schiave moresche al posto delle damigelle di corte che, invano, tentava di imporle sua madre. Le giovani forestiere venivano da Granata, l’ultima roccaforte dei Mori caduta durante la guerra di Riconquista dei Re Cattolici. Spesso figlie di nobili, furono condotte nelle corti spagnole e, contro ogni promessa, ridotte in schiavitù.
Juana ne fu subito attratta, probabilmente perché portatrici di una cultura diversa, di un mondo esotico e quindi misterioso, e comunque di più sopportabile compagnia rispetto alle sue coetanee, che – al contrario di lei – si rivelavano oltremodo lige alle regole e fastidiosamente rispettose dei ruoli loro assegnati. Irremovibile nella sua scelta, Juana provocò riprovazione e scandalo non solo in patria, esasperando Isabella, sua madre, ma anche in seguito, nelle Fiandre, dove s’era trasferita per sposare Filippo il Bello, e dove i fiamminghi vedevano come fumo negli occhi la gente dalla pelle scura e l’idioma astruso.
Alessia Pizzi