Se il titolo non vi lascia troppo perplessi, vuol dire che con buona probabilità siete già abbastanza fortunati. Sapete almeno di cosa tratti la poesia trobadorica o che una poesia trobadorica esista. E, se non ne avete mai sentito parlare, probabilmente non siete tenuti, non vi preoccupate. Il punto è che, a questo argomento, non si dedica nulla, se non un rapido cenno durante gli anni scolastici. E di certo, qualche parola lasciata lì confusamente non basta a suscitare l’interesse degli studenti né a rivelare la vera essenza di un fenomeno particolare, più unico che raro. Un peccato, visto che l’argomento potrebbe di per sé suscitare l’entusiasmo di tanti piccoli appassionati o anche delle persone che, di letteratura, davvero non ci capiscono. O non ci vogliono capire, a seconda della prospettiva adottata.
E allora perché non parlare di un soggetto, temo considerato di nicchia, al grande pubblico? Perché non sviscerare un tecnicismo e darlo in pasto alla folla? La cultura è di tutti. E su questo assunto, ci muoviamo.
Lo spazio e il tempo
Partiamo dai dati classici, da quelli che proprio vogliono sentirsi dire a scuola. E partiamo dai moduli che tutte le favole che si rispettino tengono in considerazione, lo spazio e il luogo. In questo caso, non si tratta solo di informazioni in più, che potremmo non sapere. La poesia trobadorica nasce e si sviluppa in relazione ad un preciso spazio e luogo, ad una precisa società. Togliere il dato della locazione, vuol dire non riuscire a capirla. Chi legga per la prima volta un testo trobadorico, si sentirà estremamente confuso. Oltre al dato linguistico, facilmente surclassabile, avrà la sensazione di leggere parole vuote. Le parole dei trovatori, prese così, non significano nulla. Sono come certi piatti che, serviti come la portata principale, non sanno di nulla. Ecco, i trovatori letti senza un contesto sono un’insalata scondita, senza sale e senza olio, quando tu magari altro non volevi che una bistecca.
Ma se magari, nell’insalata, ci mettessimo i giusti ingredienti, tutto avrebbe un volto decisamente diverso. I trovatori compongono in un’area a sud della Gallia, almeno per quanto riguarda la prima generazione. Non sono tutti insieme ma compongono diverse corti: il fenomeno appare non unitario sin dagli esordi. Per la lingua non c’è problema: i nostri erano riusciti a creare una lingua abbastanza flessibile che raccogliesse le diverse inflessioni e che riuscisse ad essere compresa ugualmente da tutti. Per quanto riguarda il tempo, dobbiamo fare un po’ più di attenzione.
I trovatori compongono tra il Dodicesimo e il Tredicesimo secolo. Nel pieno del medioevo; ora non importa quanto sappiate sull’argomentone Medioevo, ricorderete quella storia del sistema feudale. Ricorderete che in questa storia c’entrano le corti, c’entrano giuramenti e cavalieri. Ecco, qualsiasi cosa i trovatori dicano, dobbiamo ricordarci che lo dicono perché sono in n determinato tipo di mondo. E allora leggerli assume tutto un altro senso.
Che romanticoni questi trovatori!
Facciamo un esempio. Questi qui non fanno altro che parlare d’amore, d’amore, d’amore, un po’ come l’ultimo cantante dell’ennesimo reality. Il problema è che quando loro dicono amore non intendono il sentimento che proviamo per la vicina di scrivania in ufficio e che non abbiamo coraggio di confessare, ma probabilmente intendono qualcos’altro.
E lo intendono perché sono uomini, legati alle corti, del XII-XIII secolo. E se dicono amore, stanno probabilmente intendendo anche l’amore come legame feudale. E se parlano di bacio o di stare mano nella mano non sono particolarmente romantici ma stanno facendo riferimento ancora al solito lessico: sapevate che, durante la cerimonia di investimento feudale, avvenivano questi due gesti tra chi giurava e il signore che rappresentavano il legame che si stava creando? No, i trovatori non vanno messi nei baci perugina, sono solo uomini del proprio tempo.
Se inoltre leggerete un loro testo, noterete che sono soliti parlare a qualcuno. C’è sempre un tu o più spesso un voi: parlano- sempre di solito- ad una donna. Che non è una donna qualsiasi, non sia mai: è la donna del signore. Quello a cui hanno prestato giuramento. E gli corteggiano la dolce signora. Alla faccia dei romantici.
E’ ovvio che per noi è pari ad un tradimento. Ma quello che non percepiamo è che, in quanto legati al signore, erano quasi obbligati a lodare la signora. Un po’ quando andiamo a casa di amici che ci stanno un po’ antipatici e comunque portiamo il vino per ricambiare l’invito: si fa così, che ci vuoi fare.
I valori della cortesia
La cosa più straordinaria risiede nel fatto che i trovatori riuscirono a creare un sistema di valori ben preciso che finì per plasmare anche l’ideale cavalleresco. Avete presente quando pensate al cavaliere bello e gentile, prode e coraggioso? Viene da questo insieme di qualità che i trovatori cantarono. Se notiamo, l’ideale cavalleresco nell’undicesimo secolo era quasi nullo. Fu solo con il fenomeno-trovatori che si arricchì a formare un immaginario che ormai è ben noto.
I valori della cortesia sono legati all’immagine della corte. C’era l’idea infatti che coloro che frequentavano abitualmente la corte del signore avessero modi ben più garbati dei rozzi abitanti della villa, cioè della campagna. Non a caso ai valori, limpidi e puri ,della cortesia si contrapponevano le rozzezze della villania.
E quali sono questi valori? In primo luogo, il fin’amor. Che pure per tradurlo, è una fatica; molti infatti scelgono di lasciarlo così, come una definizione che sia anche linguistica. Fin’ veniva usato solitamente per designare l’argento purificato. Il fin amor dovrebbe quindi essere un amore puro e nobile ( anche se i trovatori non erano sempre così “puri” come li immaginiamo). Quest’amore nobilita l’animo di chi lo prova e non vuole ricompensa. Di conseguenza, il trovatore si trascina in un orizzonte di attesa; attende qualcosa che probabilmente non verrà mai ma ne è felice: perché il suo animo si fa forte nel mentre.
Serena Garofalo