Durante l’età dei Flavi la poesia epica rinasce sotto il modello di Virgilio, soprattutto attraverso la figura di Stazio. Tuttavia, dopo l’autore dell’Eneide anche altri poeti avevano provato a rinnovare il genere epico, come Ovidio e Lucano.
Dunque, poeti come Valerio Flacco, Stazio e Silio Italico oscillano tra un classicismo d’ispirazione virgiliana e le tendenze barocche del periodo neroniano. Tra questi, Stazio è la personalità più di spicco, e attraverso il mito riesce a celebrare le imprese, soprattutto via mare, dei romani suoi contemporanei.
Stazio nasce a Napoli, poi si trasferisce a Roma con il padre, maestro di letteratura. Viene apprezzato dall’alta società della capitale.
Indice
Le Silvae di Stazio
Un importante documento autobiografico sono le Silvae, cinque libri, ciascuno dei quali è introdotto da un’epistola dedicatoria in prosa. Importante è, inoltre, notare come il tema encomiastico si leghi con la rielaborazione mitologica: non è raro, per esempio, trovare Domiziano paragonato a Giove o a Ercole.
L’opera in generale, però, è composta da diversi tipi di componimenti; un esempio molto particolare è quello riservato al defunto pappagallo di Atedio Meliore:
Pappagallo, re degli uccelli, eloquente piacere
del tuo padrone, imitatore sapiente della voce umana,
quale fato improvviso ha troncato il tuo sussurro?
Ieri, poveretto, hai partecipato alla nostra mensa,
pure in punto di morte; ti abbiamo visto beccare
leccornie dalla tavola e vagare da un letto all’altro
fin dopo mezzanotte. Ci avevi rivolto frasi
e parole imparate. Adesso col tuo canto possiedi
gli eterni silenzi del Lete. Ceda la favola
di Fetonte: i cigni non sono i soli a cantare la propria
morte. Ma com’era grande e splendente di rossa
tartaruga la tua casa, le verghe d’argento incassate in avorio,
la soglia che dava un suono arguto percossa col becco,
e le porte che piangono, ahimè, da sole! La gabbia beata
è vuota, non c’è più il chiacchierio della casa augusta.
Qui si affollino tutti gli uccelli ammaestrati, a cui la Natura
diede il nobile dono della parola; si batta il petto l’uccello di Febo,
e lo storno capace di ripetere ciò che ha sentito,
e le piche che furono trasformate nello scontro in Beozia,
20 e la pernice che ripete di fila i vocaboli,
e la sorella che si lamenta di aver perduto il letto tracio:
unite i vostri pianti e date alle fiamme il congiunto,
e tutte imparate questo carme pietoso:
“È morto il pappagallo, gloria della razza alata,
il verde re dell’Oriente che neanche l’uccello
di Giunone5 che ha la coda gemmata vinceva in bellezza,
né l’uccello del Fasi6 gelato, né quelli che i Numidi
prendono sotto l’austro umido. Uso
a salutare i re, a pronunziare il nome di Cesare,
ad essere talvolta amico compassionevole,
talvolta commensale leggero, così bravo a ripetere
le parole imparate. Non eri mai solo, caro Meliore,
quando lui era libero; ma tra le ombre non scende
inglorioso; le ceneri vengono cosparse di amomo assiro
le piume sottili spirano incenso arabo
e croco di Sicilia; non è più fortunata la Fenice
che, sfinita da vecchiaia inerte, salirà il rogo fragrante.
E’ evidente l’influenza del carme di Catullo riservato alla morte del passero di Lesbia. In questo caso, Stazio aggiunge anche il motivo encomiastico, tipico di tutta la produzione dell’opera.
La Tebaide di Stazio
Raccolta in dodici libri, la Tebaide racconta la celebre vicenda dell’assedio di Tebe; tale scelta ben si adatta al tentativo di rappresentare un modello di famiglia che va in sfacelo. Bisogna ricordarsi che Stazio aveva assistito alle atrocità del regno di Nerone; quindi anche lui cerca di rappresentare, così come Seneca nelle sue tragedie, il mito in riferimento ai massacri in famiglia della corte imperiale.
La Tebaide è un’anti-Eneide perché, esattamente come Lucano, anche Stazio parla della guerra civile attraverso un mito che è sfondo d’odio (Eteocle contro Polinice), come si può evincere nel nono libro:
Tebaide [9 – 552-555; 564-567]:
«Tal la madre dolente si querela,
nè però si ritiene; a’ dardi e a l’aste
intrepida va incontro, e colla mano
gli elmi ricerca, e i tronchi busti esplora;
[…]
indi col molle crin l’umido volto
gli asciuga e terge, e singhiozzando esclama:
Sì fiero dono i Semidei parenti
e l’avo tuo immortal ti diero, o figlio?
Così tu regni nel materno fiume?»
Come si può notare, si vuole mettere in luce gli aspetti più cruenti, tipici degli scontri omerici: non è, infatti, un asianesimo fine a se stesso, ma serve per rappresentare lo scontro fratricida che richiama Roma. Si vede, poi, un’allusione a Nerone che uccide Britannico e il caos originato dalla guerra civile romana del 68-69 d.C.
Stazio, quindi, rivisita un mito antico e molto conosciuto: tra le numerose opere che trattano l’assedio di Tebe e lo scontro fratricida tra Eteocle e Polinice, come dimostra Sette contro Tebe di Eschilo:
Sette contro Tebe [vv.631-676]:
Messaggero: Ecco il settimo, alla settima porta. Sono pronto a ridire – sì , è lui, tuo fratello – che casi maligni
bestemmia, impreca su Tebe: prima calpesta le torri, si fa proclamare campione, riversa sui vinti il
suo inno frenetico, poi t’incrocia, t’ammazza e ti crolla vicino. Se scampi, castiga in te il suo
usurpatore: scambio d’identica pena, l’esilio randagio, fuggiasco. È il suo proclama.
Chiama per nome gli dèi familiari della terra nativa – che tengano fisso lo sguardo al suo supplicare
- Polinice potente. Regge scudo di fresca fusione, un disco perfetto: sopra, placca ingegnosa, un
duplice stemma. Ecco, uomo d’oro sbalzato, uomo di guerra, all’aspetto. Lo conduce un’effigie di
donna: è composta, conosce la strada. Dice che è lei, proprio lei, la Giustizia. L’incisione l’afferma:
«Sarò io a rimpatriare quest’uomo: riavrà una vita civile, girerà da padrone tra le mura native».
Tutte qui le malizie di quelli là fuori. Ora a te: sappi chi ti par bene schierare alle porte. Di me non
potrai lamentarti, son certo, di come t’ho riferito. Ora a te. Pensa tu a guidare lo Stato al suo porto. - Il messaggero esce.
Eteocle: O sangue indemoniato, carico d’odio divino, o universo di lacrime, o sangue mio che vieni da
Edipo! Aaah, è il tempo: matura l’imprecazione del padre! No, no. Né singhiozzi, né chiasso. Non è
dignitoso. Che non dilaghi poi il piagnisteo: non potrei sopportarlo. Per chi è specchio vero del
nome – a Polinice, alludo – presto sapremo fin dove dà frutto il suo stemma, se saprà rimpatriarlo
quella scritta d’oro fuso in mezzo alla piastra, sciocco profluvio d’un cervello sbandato.
Se Giustizia – figliola immacolata di Zeus – gli stesse vicina, mentre pensa o agisce, certo questo
potrebbe accadere. Ma non è così . Da quando fu espulso dal buio cavo materno, poi nel tempo
delle cure infantili, adolescente, e al primo addensarsi di peluria sul viso Giustizia mai gli ha rivolto
uno sguardo, un segno di stima. Non gli farà da fedele scudiera in quest’ora, nello sfacelo del suolo
paterno! Non credo, non posso. Sarebbe l’esatta smentita al suo nome, Giustizia, alleata a un essere
che in corpo ha insolenza pura. Tutto ciò mi dà forza serena. Vado allo scontro: sì , io solo. E chi avrebbe più giusto motivo? Da principe a principe, fratello a fratello, nemico contro nemico: l’affronterò immoto. Forza, cominciamo: qua i gambali, baluardi ai colpi di lama e di sasso.
Centrale è il dialogo tra Eteocle e il messaggero, il quale gli comunica che l’esercito nemico si è disposto intorno alle sette porte della città. Importante è il rifermento alla Giustizia, qui divinità personificata, che garantisce la legittimità dell’azione di Polinice.
Un’altra opera teatrale, nel contesto tragico greco, è l’Antigone di Sofocle: ormai Eteocle e Polinice si sono uccisi reciprocamente, Creonte, loro zio, decide di far seppellire soltanto il corpo di Eteocle, ma Antigone, loro sorella, non accetta questa decisione. Antigone è emblema dei valori del γένος, e andrà contro le leggi della città.
Ismene, sua sorella, cercherà inutilmente di fermarla; questo dimostra come le coppie nel teatro greco siano estremamente importanti (si pensi anche, per esempio, all’opposizione tra la nutrice e i forti personaggi femminili tormentati in Euripide). Antigone compie una scelta che, secondo alcuni critici, si potrebbe definire “ambigua”: da una parte va contro la vita, l’umanità e la natura con il suo gesto; dall’altra, per lei l’unico matrimonio possibile e giusto è quello con la morte, in modo che possa incontrare nuovamente il fratello.
Achilleide di Stazio
Dopo la pubblicazione della Tebaide, Stazio inizia a comporre l’Achilleide, dove l’eroe omerico viene rivisitato nel suo aspetto più inedito, ovvero l’infanzia. Il poema, però, è rimasto incompiuto a causa della morte dell’autore.
Lorenzo Cardano