Gli epigrammisti alessandrini in pillole

epigrammisti alessandrini

Il 3° secolo a.C. vide una fioritura straordinaria dell’epigramma greco, per numero e qualità di autori che si cimentarono in questo genere. Il nome stesso (da ἐπί-γράφω, letteralmente: “scrivere su”, “scrivere sopra”) esprime perfettamente sia la funzione che la peculiarità di questo genere letterario: esso nasce, infatti, come testo inciso sulla pietra o su un materiale durevole; comporta il fine pratico di commemorare un defunto o di accompagnare la consacrazione di un oggetto.

La fortuna del genere in età ellenistica è dovuta alla fusione stessa dell’epigramma con i principi alessandrini della brevitas e dell’interesse per il preziosismo. In questo periodo storico, tale genere letterario viene codificato e declinato in diverse “scuole”.

La scuola dorico-peloponnesiaca

La prima scuola per importanza per l’epigramma greco è quella “dorico-peloponnesiaca”, che si serve del dialetto dorico letterario in un’epoca di κοινὴ. Tale orientamento è caratterizzato dall’attenzione alla condizione di miseria degli strati bassi della società. Autori rappresentanti di questa tendenza furono Leonida di Taranto, Nosside di Locri, Anite di Tegea.

Un epigramma greco esemplare: Gli ospiti sgraditi di Leonida di Taranto (AP VI, 302)

«Fuggite dal mio tugurio, topi notturni: la povera

madia di Leonida neppure un sorcio sa nutrire.

Il vecchio basta a se stesso, se ha sale e due pani di orzo:

tale è la vita che ho appreso dai padri.

Perché, ghiottone, scavi quest’angolo?

Non troverai neppure l’avanzo della mia colazione.

Presto, vattene in casa d’un altro – io ho povere cose –

dove raccoglierai più abbondanti provviste

Alla vera o presunta miseria, tema importante per i cinici e del quale Ipponatte risulta essere un importante modello, è riservato un epigramma dove si invitano i topi che frequentano la vuota dispensa di Leonida a partire, perché essa “neppure un sorcio sa nutrire”. Ipponatte, infatti, esiliato dagli avversari politici, è stato un poeta lirico che ha descritto la sua condizione da esiliato con molto umorismo, come si può notare in uno dei suoi frammenti (fr.32 West):

«Ermes, caro Ermes, rampollo di Maia Cillenio

ti supplico: ho freddo come un cane

e batto i denti…

dà un mantello ad Ipponatte, e una vestina

sandaletti e babbucce, e poi d’oro

sessanta stateri in un altro mucchio

L’incipit indica già il tono confidenziale con cui il poeta si rivolge al suo pubblico: “caro” infatti aveva già in Omero un valore possessivo (si pensi a come Nausicaa si rivolga al padre nell’Odissea). Il poeta aristocratico si finge povero: non è ignaro, infatti, dei cambiamenti sociali, né della nuova classe mercantile che si sta sviluppando. La scelta di Ermes non è dunque casuale: egli è il dio dei commerci e dei ladri; tale scelta è da intendere come una critica rivolta ai nuovi ricchi; il disprezzo verso questi mercanti è dovuto al fatto che questi ultimi non condividono gli stessi valori dell’aristocrazia conservatrice. Questo aspetto coinvolge altri autori lirici come Archiloco, Teognide e Anacreonte.

Inoltre, ritornando al testo di Leonida, è importante notare il principio dell’autosufficienza del sapiente, che può fare a meno delle ricchezze: tale concetto era caro al dibattito filosofico stoico-cinico dell’epoca.

Un’altra importante autrice è Nosside di Locri, forse direttrice di un tiaso femminile, che scrive un epigramma greco legato al culto di Afrodite:

«Nulla è più dolce d’amore; ed ogni altra gioia

viene dopo di lui: dalla bocca sputo anche il miele.

Così dice Nosside: e chi Cipride non amò,

non sa quali rose siano i fiori di lei

Anche in questo caso, ritorna il tema del “migliore“, come si evince già a partire dal primo verso. Tale tematica era già stata espressa da Saffo (fr.16 Voight):

«Alcuni di cavalieri un esercito, altri di fanti,

altri di navi dicono che sulla nera terra

sia la cosa più bella, mentre io ciò che

uno ama. […]»

Un altro elemento che potrebbe ricollegarsi alla poetessa di Lesbo nel componimento di Nosside è l’aggettivo “dolce“, presente al primo verso, che può essere visto come un tentativo di emulare il frammento 130 di Saffo, dove è presente il famoso neologismo ossimorico “dolceamara“:

«Eros che scioglie le membra mi scuote

di nuovo: dolceamara invincibile belva

Il collegamento tra Nosside e Saffo diventa ancora più esplicito in un altro componimento (AP VII, 718):

«Straniero, se navigando ti recherai a Mitilene dai bei cori,

per cogliervi il fior fiore delle grazie di Saffo,

dì che fui cara alle Muse, e la terra Locrese mi generò.

Il mio nome, ricordalo, è Nosside. Ora va’!»

Il confronto tra le due poetesse si fa sempre più intenso al verso 2, così tanto che, nei versi successivi, Nosside dice che deve essere portato un messaggio a Saffo: lei che è stata poetessa. Il tema della σφραγις e della persona loquens richiamano alla mente l’idea dell’epigramma greco funerario, con apostrofe iniziale al viandante al primo verso (“Straniero”).

Infine, ultima, ma non sicuramente per importanza, Anite è un’altra esponente di questo modo di fare epigrammistica. Con il tempo, i suoi epigrammi si sono distinti per il forte interesse verso il contesto bucolico, per gli epicedi e per il mondo dell’infanzia.

Vuoi saperne di più sulla condizione della donna in età antica? Leggi l’articolo relativo ad Ipazia!

A.P. VII, 202 – In morte di un gallo

«Fino a poco tempo fa’ mi svegliavi

al mattino presto, e agitando le ali

mi buttavi giù dal letto;

più non lo farai poiché un pirata

ti sorprese nel sonno spezzandoti il collo

In questo epicedio scherzoso è interessante notare l’uso del termine “pirata“, che qui designa, con umorismo, probabilmente un gatto o una volpe.

«Per un grillo, usignolo dei campi,

e per una cicala, abitante d’una quercia,

Miro fece questa tomba comune

bagnandola di caste lacrime infantili;

Ade implacabile d’improvviso le strappò

gli oggetti della sua tenerezza

Prima di tutto, è possibile vedere l’attenzione di Anite verso la realtà quotidiana, un aspetto tipicamente alessandrino. In più, nella seconda metà dell’epigramma greco, la focalizzazione sul tema dell’infanzia, che non è vista con durezza, ma con sensibilità femminile, che va ad indagare la sincerità delle emozioni di un bambino. Il fatto che è bambini non conoscono nè il bene nè il male è una caratteristica che era già presente nella lirica greca:

Fr. 8 Gent-Prato e 2 West – Come le foglie

«Al modo delle foglie che nel tempo

fiorito della primavera nascono

e ai raggi del sole rapide crescono,

noi simili a quelle per un attimo

abbiamo diletto del fiore dell’età,

ignorando il bene e il male per dono dei Celesti.

Ma le nere dèe ci stanno a fianco,

l’una con il segno della grave vecchiaia

e l’altra della morte. Fulmineo

precipita il frutto di giovinezza,

come la luce d’un giorno sulla terra.

E quando il suo tempo è dileguato

è meglio la morte che la vita

La visione edonistica di Mimnermo, in quest’epigramma greco, si intreccia con un’idea pessimistica della vita, secondo la quale la giovinezza, destinata ad andarsene, è l’unico momento veramente felice.

Ma l’idea della tenera età come periodo in cui è impossibile distinguere il bene dal male ritorna anche ripreso nella tragedia, in particolare nell’Aiace di Sofocle:

AIACE: «Prendilo, su, dallo a me: non avrà brividi, sai. Occhi chiari su questa pozza calda mortale, se è mio,
se è sincera la vena paterna. Ah bisogna imbrigliarlo subito il piccolo, con le regole rudi del padre. Che si ricalchi su me la sua tempra. Figlio, deve toccarti successo migliore del padre. Il resto identico. Non saresti da poco. Pure, già ora ho motivo d’invidia per te: non hai sentimento della mia miseria. Non possedere un io che pensa; ecco l’età più cara! Finché non sperimenti godere e soffrire. Ma toccherai quell’istante, e allora sarà tuo assoluto dovere chiarire, in mezzo a chi odii, da che padre, che tempra è la tua. Per ora, assapora le brezze sottili, palpita, vibra nel cuore bambino, conforto a tua madre, che è qui. Non uno dei Greci – è sicuro – potrà calpestarti con perfide offese,
anche se io mancherò: che scolta ti lascio, di ronda davanti alla soglia! Teucro, lui! Farà tutto, per te, senza esitare, anche se oggi s’aggira lontano, sempre a predare nemici. (Rivolto al Coro) A voi compagni, mio equipaggio mie armi! Tutti insieme vi ordino, vi prego, trasmettete a quell’altro lontano il comando: deve prendersi il figlio, qui, e farlo vedere a Telamone, laggiù nella casa, e alla madre, a Eribea, capite? Deve sfamare la loro vecchiaia fino alla fine, finché caleranno nel baratro, dal dio dell’abisso. Per le mie armi non ci sarà concorso. Niente giudici di gara, né quell’altro, che fu la mia morte.»

Il celebre eroe omerico prende in braccio il figlio, prima di uccidersi. L’episodio può richiamare alla mente del lettore attento l’immagine omerica di Ettore che e il figlio nell’Iliade. Aiace ha un occhio di riguardo e di benevolenza, quasi invidia, verso l’innocenza del figlio.

Per ritornare alla nostra poetessa, Anite scrisse anche un bel quadretto bucolico, forse destinato ad accompagnare la raffigurazione di un paesaggio estivo:

«Ospite, sotto la rupe le logore membra riposa!

Fiato soave mormora nel verde.

Bevi lo sgorgo gelato di fonte – riposo gradito

nell’estiva calura pei viandati

Impressionanti sono l’immagine del locus amoenus e l’idea del viandante che si ferma (presente anche nell’autoepitaffio). L’ambiente non è sicuramente l’estate di Esiodo e di Teocrito, che mette alla prova la fatica del lavoro dell’uomo.

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La scuola ionico-alessandrina

Ben diverso clima, sia artistico che sociale, emerge dagli epigrammisti della scuola “ionico-alessandrina”, tra i quali Callimaco ed Asclepiade. Il presupposto della loro attività va cercato nella cosmopolita Alessandria, nel circolo dei dotti che frequentavano il Museo e la Biblioteca: ambienti di raffinatezza espressiva e dottrina letteraria che costituiscono l’ideale estetico fondamentale.

Un epigramma greco esemplare: La ragazza ritrosa di Asclepiade (AP V, 85)

«Tu difendi la tua verginità.

E perché? Nell’Ade non troverai

un solo amante.

Sono qui, tra i vivi,

i piaceri di Cipride:

là, sulle rive di Acheronte, o vergine

saremo ossa e cenere

Tale componimento è collacabile con difficoltà nel contesto simposiale, dato che l’ambiente non pare essere quello consueto, popolato da etere e fanciulli. Anche il tema principale dell’epigramma greco, ossia la ragazza che rifiuta l’amore, è tipicamente letterario, e non simposiale. Centrale è quindi il motivo del carpe diem epicureo, che serve come una sorta di “esortazione”, rivolta alla ragazza, a non lasciarsi sfuggire il piacere che la vita le offre.

Sempre Asclepiade scrive ancora (A.P. XII,50):

«Bevi, Asclepiade! Perché queste lacrime?

Che cosa ti fa soffrire? La crudele Afrodite

non fece sua preda solo te,

né solo su di te Eros amaro tese l’arco e le sue frecce.

Beviamo la bevanda pura di Bacco;

il giorno è un dito.

Oppure aspettiamo di vedere di nuovo

la lampada compagna del sonno?

Ma via, beviamo, disperato amante!

Tra non molto dormiremo una notte infinita

Il tema della fugacità della vita e della giovane età come periodo migliore dell’esistenza umana si ricollegano a quanto già diceva Mimnermo ne I fragili doni di Afrodite (fr.1 West):

«Quale vita, che dolcezza senza Afrodite d’oro?

Meglio morire quando non avrò più cari

Gli amori segreti e il letto e le dolcissime offerte,

che di giovinezza sono i fiori effimeri

per gli uomini e le donne. Quando viene la dolorosa

vecchiaia che rende l’ uomo bello simile al brutto,

sempre nella mente lo consumano malvagi pensieri;

nè più s’ allieta guardando la luce del sole;

ma è odioso ai fanciulli e sprezzato dalle donne:

tanto grave Zeus volle la vecchiaia.»

Il testo è suddivisibile in tre parti: la prima coincide con l’interrogativa retorica del primo verso, dove Afrodite, per metonimia, è allegoria dell’amore; la seconda, dal verso 2 al verso 5, si parla della bellezza della gioventù passata; nella terza, dal verso 6 al verso 10, viene descritta la vecchiaia, che è dolorosa, perché viene anche a mancare il motivo della καλοκαγαθία, ideale di perfezione esteriore ed interiore dell’uomo, e perché viene meno anche l’ἔρως sia per le donne, che per giovani uomini, secondo il principio educativo pederastico greco.

La scuola fenicia

Sul finire dell’età ellenistica l’epigramma greco tende ad uno stile elegante e sfarzoso, influenzato dalla retorica contemporanea, specialmente in alcuni autori, come Meleagro, che, per via della loro provenienza dalle città ellenizzate della Siria, sono accomunati dalla definizione “scuola fenicia”.

Un testo esemplare: Eros dispettoso di Meleagro (AP V, 179)

«Lo giuro su Cipride, Eros: getterò sul fuoco ogni tua cosa,

l’arco e la faretra di Scizia colma di frecce.

Li getterò tra le fiamme, sì. Perché mi sbeffeggi, e ridi,

e fai smorfie col tuo naso camuso? Riderai presto amaro.

Ti taglierò le ali che guidano i passi veloci dei Desideri,

chiuderò i tuoi piedi in ceppi di bronzo.

Ma sarà una vittoria di Cadmo se t’incatenerò

vicino alla mia anima: una lince accanto all’ovile!

Vattene, noioso, prendi i tuoi lievi calzari,

dispiega verso altri le ali veloci

Il tema degli Amorini dispettosi è tipico del periodo del tardo Ellenismo, trova anche molti riferimenti artistici. L’idea di fondo del pensiero greco è che l’amore sia un nemico per la felicità umana: a volte viene presentato come un bambino dispettoso, altre come un mostro, altre ancora come un nemico. Per tale motivo lo si insulta, lo si maledice, ma con un sorriso sulle labbra, seguendo un codice espressivo ormai formalizzato. In questo componimento, si può notare la rappresentazione di Eros minacciato come un topos della letteratura ellenistica. L’epigramma è costituito su un capovolgimento tematico: non è infatti Eros che incendia il cuore dell’innamorato, ma il poeta che dà alle fiamme l’arsenale del piccolo dio. Si può pure notare come Eros, nell’iconografia ellenistica, venga raffigurato come un bimbo dal naso camuso (segno di malignità).

Sai chi altro si diceva avesse il naso camuso? Scoprilo cliccando qui (indizio: è stato un filosofo famoso, ma non ha mai scritto niente)!

Lorenzo Cardano

Da sempre innamorato degli infiniti modi che l'essere umano ha di esprimere se stesso, il suo entusiasmo e il suo tormento; per questo ho scelto di fare della letteratura la mia strada.

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