“Il tempio del teatro napoletano a Roma” si racconta a vent’anni dalla nascita con le parole di Fabio Gravina, anima portante del Teatro Prati
Roma || Il Teatro Prati è un piccolo teatro di appena 116 posti a qualche decina di metri dalla fermata della metro A Ottaviano, definito “il tempio della commedia napoletana a Roma”. Fabio Gravina è il fondatore, il direttore, il regista, recentemente l’autore e spesso uno degli attori, assieme alla sua compagnia, l’Umoristica Quartaparete, degli spettacoli che vanno in scena. Il Prati ha basato sulla commedia napoletana il suo successo fin dalla sua inaugurazione nel novembre del 1998. Nella serata d’apertura, in prima fila sedeva Alberto Sordi e tra i cimeli del teatro non mancano oggetti di scena suoi e di Eduardo De Filippo, nonché di altri grandi. Incuriosito da come sono cambiate le cose nel tempo, sono andato a trovare Fabio Gravina nel suo studio e gli ho chiesto di tracciare un bilancio a venti anni (9 novembre 1998 – 2018) dalla fondazione del Prati.
Una scelta dolorosa
Dal 2004 al 2012 il Teatro Prati registra più di 25000 spettatori l’anno con 1500 abbonati. Un record per un teatro con meno di duecento posti: “penso che un giorno (quello che ho fatto) verrà messo in qualche enciclopedia, perché non lo fa nessuno (a Roma). Sono numeri da capogiro, con quattro spettacoli l’anno e sempre io, con teniture di due mesi e mezzo a spettacolo”. Ancor prima della nascita del Prati, dal 1995 Gravina si esibisce con un repertorio napoletano, rappresentando Eduardo e Peppino De Filippo, Scarpetta, Curcio, Fayad e molti altri. “Ho partecipato per tre anni al premio Peppino De Filippo. Sono stato per due anni al Festival d’Abruzzo di Dacia Maraini… Con me ha lavorato per anni la moglie di Peppino De Filippo (Lelia Mangano De Filippo). Tutto quello che potevo fare l’ho fatto”.
Poi però nasce una nuova volontà artistica: “dopo aver rappresentato per tanti anni le commedie degli altri, ho sentito l’esigenza di scrivere per il teatro”. Gravina opta anche per altri autori, passa alla commedia all’italiana: “La filosofia e la psicologia napoletana sono molto forti rispetto a tante altre. Quindi il pubblico può pensare che qualsiasi vicenda tu svolgi a Napoli appartenga a Napoli”. Fabio Gravina, che preferisce un teatro che possa essere sentito come attuale dal suo pubblico, sceglie perciò un’ambientazione romana.
Dal momento in cui il repertorio cambia, il Prati scende a 750 abbonati e 12/13000 persone l’anno. Queste presenze sono ormai stabili, “si è raggiunto un certo standard”, anche se, ammette Gravina, “è stata una scelta dolorosa sotto il profilo del portafoglio”. “L’esigenza artistica”, continua, “è più importante del puro fine economico. L’artista ha bisogno di trovare sempre la novità in quello che rappresenta… C’è la necessità di credere in quello che fa. Altrimenti lo faresti, come si dice a Napoli, con la mano sommersa e io non lo voglio fare. Lo voglio far bene”.
Perché dovremmo conservare il teatro
Perché non tutto il suo pubblico l’ha seguita in questo nuovo percorso teatrale?
“Hanno iniziato ad apprezzarmi teatralmente col teatro napoletano. Il pubblico voleva da me e ancora vuole questo e non vuole il teatro italiano. Non posso però cercare di addebitare questo fattore negativo solo al cambio di repertorio, perché c’è una crisi culturale sotto gli occhi di tutti… È una carenza dello Stato. Gli altri paesi conservano, noi distruggiamo tutto. Il teatro è una parte fondamentale della nostra cultura italiana, va conservato, va salvaguardato. Ma se noi non conserviamo i monumenti, perché dovremmo conservare il teatro?”
D’altronde, continua Gravina, il teatro è una delle uniche forme d’arte che per sua natura muta in continuazione, da replica a replica, sfuggendo alla distribuzione televisiva e allo streaming digitale. Proprio questa sua differenza, se ben valorizzata, potrebbe garantire un ritorno d’interesse per il pubblico. Tuttavia, spiega Fabio Gravina, il problema non è solo statale.
“C’è da dire che molti teatranti, miei colleghi, hanno contribuito a non far andare la gente a teatro… Tante volte si sono allestiti degli spettacoli che non meritavano di stare su un palcoscenico”.
Che ne pensa delle nuove generazioni che si avvicinano al ruolo dell’attore?
“Ci sono tanti giovani che vogliono fare questo mestiere e un buon 70% non può farlo. Oggi lo vediamo con i social network. Tutti quanti si vogliono mettere in mostra. Delle volte basta una fotografia, un pensiero scritto bene, magari neanche tuo, e passi per bravo. Sai, dimostrare che tu sei un attore tutte le sere sul palcoscenico è molto difficile. Significa sacrificare la tua vita privata, la famiglia… è un regime peggiore di quello dittatoriale. Come disse Eduardo De Filippo nella sua ultima apparizione, il teatro è una vita di gelo”.
Il Teatro Prati e il MiBACT
Nel 2015 il MiBACT del ministro Franceschini, con l’attuazione del Decreto Ministeriale luglio 2014, tagliò fuori dal FUS (Fondo Unico Spettacolo dal vivo) e dalle coperture finanziarie la gran parte dello spettacolo dal vivo, sulla base di criteri che furono molto criticati. Cosa accadde al Prati?
“Il Teatro Prati ha perso tre anni prima i contributi… Alle volte lo Stato si mette a gestire cose che non dovrebbe gestire. Ci sono assessori che non sono mai entrati in un teatro”.
Il Teatro Quirino in quegli anni cercò di riunire i teatri romani in una catena di protesta a difesa dello spettacolo dal vivo. Il Prati non partecipò al progetto: “i teatri non possono essere aggregati l’uno all’altro. Sebbene tutti diffondano cultura, c’è da dire che sono delle imprese private e dunque in regime di concorrenza”.
Un figlio a tutti i costi
Il primo marzo uscirà un film tratto da una commedia teatrale di Fabio Gravina. Si parla di una coppia di mezza età che non riesce ad avere un bambino e arriva a ricorrere ai metodi più ‘alternativi’ per avere “un figlio a tutti i costi”, come recita il titolo. “Unisco il sacro e il profano”, racconta Gravina, “(sarà) una commedia d’autore, perché si racconta una storia… Non ci sono né parolacce né volgarità, perché per far sorridere il pubblico non c’è bisogno di essere volgari, la comicità è poesia”. Salvatore Scarico è il produttore esecutivo e co-sceneggiatore del lavoro: “ha iniziato come attrezzista, poi montatore… tutti i passaggi. Per dirigere gli altri devi aver fatto quei mestieri”, sottolinea Gravina, a voler ribadire la scelta di lavorare, come nel teatro, “alla vecchia maniera”.
Fabio Gravina in Un figlio a tutti i costi è protagonista, regista e produttore con la casa 35mm. A distribuire il film è Easy Cinema, sempre di Salvatore Scarico: “giochiamo in casa”, mi dice Gravina, anche se aggiunge che sarà “una battaglia contro i mulini a vento”, consapevole della difficoltà di far circolare un prodotto indipendente. “È un film onesto. Piccolo, ma onesto”. Vorrebbe infatti far vedere “quello che io intendo per cinema… Noi da più di vent’anni a questa parte non riusciamo più a fare una buona commedia… Mi piacerebbe che tornasse oggi una commedia all’italiana che sia contemporanea”.
Se l’esperienza del cinema dovesse avere successo, può il cinema finanziare il teatro?
“Sì, sicuramente sì”.
Mettersi in gioco
Attore, autore, direttore, regista di teatro e ora anche di cinema. Nonostante il gran numero di ruoli, per Gravina il più duro però resta quello dell’attore: “l’attore si mette in gioco tutte le sere, anche dopo trecento repliche di uno spettacolo… C’è sempre un grosso punto interrogativo che è il pubblico”.
Il Teatro Prati è una sua creatura. Accetterebbe un regista e una compagnia ospite nel suo teatro?
“Il prossimo anno ho intenzione di ospitare alcune compagnie, perché vorrei allentare un pochino il lavoro teatrale e dedicarmi di più al cinema. Il regista mi piacerebbe, ma nella mia carriera non ho mai trovato una persona che avesse la stessa capacità di dirigermi”.
Gabriele Di Donfrancesco