Il surrealismo è stato fondamentale nella storia dell’arte. A Pisa una mostra, attraverso dipinti, sculture, e altri oggetti, mette in scena la straordinaria avventura dell’avanguardia surrealista, legata, in particolare, al 1929, un’annata cruciale per quel gruppo di artisti.
C’è tempo fino al prossimo 17 febbraio per visitare la mostra da Magritte a Duchamp 1929: il grande surrealismo dal Centre Pompidou a Palazzo Blu a Pisa.
Si tratta di una rassegna imperdibile, non solo per la quantità di opere esposte ma soprattutto per la qualità delle stesse.
Il titolo onestamente non rende giustizia all’unicità di questa mostra.
Oltre alle opere di Magritte e all’imperdibile L.H.O.O.Q. di Duchamp, sono moltissimi altri gli autori presenti nelle diverse sale espositive.
Dai celebri Picasso, Dalì, Picabia, Giacometti, Man Ray e Max Ernst ad artisti meno noti al grande pubblico come Alexandre Calder, Josef Sima o anche Pierre Roy e diversi altri.
Punto di partenza dell’esposizione pisana è, come riportato nello stesso titolo della mostra, l’anno 1929.
Quella data, arcinota per il crollo finanziario della Borsa di Wall Street, fu centrale anche per il movimento surrealista, nato nel 1924 su impulso di alcuni poeti fra cui Andrè Breton, Philippe Soupault e Louis Aragon.
Il 1929 è l’anno della pubblicazione del secondo manifesto surrealista ma anche quello del primo romanzo collage di Max Ernst, del primo film pienamente surrealista e di alcuni importanti contrasti in seno al movimento che portarono il gruppo sull’orlo della scissione.
Ma è anche l’anno in cui un estroverso pittore spagnolo, Salvador Dalì si fece conoscere.
Nel 1929 uscì Un chien andalou, pellicola di Luis Buñuel alla quale Dalì fornì un rilevante contributo.
Il film fu particolarmente apprezzato dai surrealisti per i riferimenti onirici, gli evidenti richiami alla psicanalisi e la dimensione poetica dell’opera stessa.
Un giudizio, quello surrealista per Dalì, che non si limitò al solo Un chien andalou.
Nel novembre del 1929 Breton decise di scrivere la prefazione del catalogo della mostra che il pittore spagnolo tenne a Parigi.
Diverse le opere di Dalì esposte nella mostra curata da Didier Ottinger, direttore del Museo d’Arte Moderna di Parigi, città che tenne a battesimo il movimento surrealista.
Dall’onirica Donna dormiente, cavallo, leone invisibili del 1930, all’ipnotica Allucinazione parziale. Sei apparizioni di Lenin su un pianoforte del 1931, passando anche per L’âne pourri dipinto nel 1928. Proveniente dalla collezione di Paul Eluard, quest’ultima tela appartiene alla serie dei dipinti-collage di Dalí e ha come soggetto il macabro tema della putrefazione sul quale l’artista rifletté insieme all’amico e poeta Federico García Lorca.
Non solo, Dalì però.
Impossibile non ammirare le opere di Renè Magritte, definito il sabotatore tranquillo, per la sua capacità di seminare dubbi surreali attraverso la rappresentazione del reale stesso.
Fra queste, in particolare, Le double secret, e l’inquietante Le modèle rouge.
La prima, realizzata nel 1927, è certamente una delle opere più iconiche del pittore originario di Lessines.
Si tratta, infatti, di una tela bellissima e fortemente conturbante. Magritte, sullo sfondo di una vasta distesa marina, colloca due busti femminili.
In realtà si tratta dello stesso volto. Da una parte quello strappato, dall’altra ciò che rimane sotto la pelle.
Due immagini rappresentate come frammenti di un unico puzzle che, volendo, possono essere ricomposte, sovrapponendo una all’altra.
Ci aspetteremmo di vedere sotto la pelle di quel volto strappato dei muscoli, delle ossa, magari del sangue. E invece troviamo la corteccia di un albero adorna di sonagli, questi ultimi motivo ricorrente nelle opere di Magritte.
Un soggetto impossibile, irreale ma che grazie a Magritte diventa reale: visualizzazione dei meccanismi del pensiero e delle storpiature cui esso sottopone la realtà che si trova di fronte.
Non meno suggestiva è Le modèle rouge.
In questo dipinto del 1937 Magritte non affianca più due immagini, come nel Le double secret ma le combina.
Scarpe e piedi, in una sorta di processo di fusione, divengono un’unica, inquietante forma.
La scarpa, simbolo di protezione per il piede è però, al tempo stesso, una nera e inumana prigione.
E poi, come non soffermarsi davanti a L.H.O.O.Q., la dissacrante versione con i baffi della Monna Lisa di Leonardo da Vinci che Marcel Duchamp, l’inventore dei ready-made, realizzò nel 1930.
Si tratta di «un supremo gesto iconoclasta», come lo definì lo storico dell’arte Piero Adorno, compiuto sul quadro più celebre del mondo, simbolo incontrastato di tutta una generazione artistica e non solo.
Fra le diverse sale del bellissimo Palazzo Blu, adagiato sulle placide sponde dell’Arno e che nel 2015 ospitò la mostra Modigliani et sesamis, si rimane letteralmente ammaliati dalla opere presenti.
Come davanti alle Maschere di ferro di Alexandre Calder, ai dipinti di Picasso, a quelli di Mirò o di Giorgio De Chirico, considerato da Breton una sorta di nume tutelare del movimento surrealista.
Degna di nota è anche la sezione della mostra dedicata al rapporto fra eros e surrealismo.
Il movimento, infatti, facendosi interprete degli scritti di De Sade, sui numeri 11 e 12 della rivista La Révolution Surrèaliste, diede vita a una vera e propria inchiesta su amore e sessualità.
Nelle due sale dedicate a questa sezione, di rilievo sono le sculture di Alberto Giacometti su Eros e Thanatos, appartenenti alla cosiddetta produzione surrealista dello scultore italiano.
Imperdibile, infine, nell’ultima sala espositiva la serie di fotografie.
Si tratta di capolavori di artisti del calibro di Brassaï, Lotar, Boiffard, bellissime le sue maschere di carnevale.
Ma anche le creazioni di altri straordinari fotografi come Man Ray, Claude Cahun e Jean Painlevé che con la sua angosciante Chela di aragosta o De Gaulle del 1929 lascia più di uno spettatore a bocca aperta.
«Una mostra importante -come l’ha definita giustamente il presidente della Fondazione palazzo Blu Cosimo Bracci Torsi- anche e principalmente perché dedicata non al singolo artista, come spesso accade, ma a un intero movimento, quello surrealista, che fu probabilmente il più rivoluzionario di tutta l’avanguardia novecentesca e da cui transitarono tutti i più grandi artisti del secolo scorso.»
Allora non rimane che organizzare in questi primi giorni del nuovo anno una gita a Pisa e fra una visita al duomo, all’immancabile Torre Pendente, dedicare del tempo a questa mostra.
Maurizio Carvigno