Tra il grano e il cielo, tra l’oro e l’azzurro, in una parola Vincent Van Gogh

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Vedere Van Gogh significa avvicinarsi all’estasi, farsi rapire dall’incanto, perdersi nel mistero unico del colore. La mostra Van Gogh. Tra il grano e il cielo regala infinite emozioni attraverso il percorso terreno di uno dei più grandi artisti di sempre.

Disegni, dipinti e lettere. L’essenza di uno dei più grandi artisti di sempre in un’unica, imperdibile mostra. Questa, in sintesi, la cifra di Van Gogh. Tra il grano e il cielo alla Basilica palladiana di Vicenza fino al prossimo 8 aprile.

Inaugurata lo scorso 7 ottobre nella suggestiva cornice di una dell’architetture più celebri di Andrea Palladio, questa mostra, fortemente voluta da Marco Goldin, non nuovo a eventi di questo tipo, non è onestamente la solita retrospettiva sul pittore olandese. Perché nelle diverse sale il visitatore non troverà le celebri tele conservate a Parigi e principalmente ad Amsterdam, anche se sono esposti quadri straordinari, uno fra tutti Il ponte di Langlois ad Arles, ma di certo scoverà il carattere più intimo di colui che reinventò i colori, elaborando uno stile che rapidamente si affinò per toccare il limite del divino.

Articolata su più sezioni la mostra ripercorre, attraverso 43 dipinti e principalmente 86 disegni, l’evoluzione artistica di Van Gogh e proprio la copiosa presenza di disegni, realizzati con svariate tecniche, dal carboncino alla matita, dal gesso nero alla penna e inchiostro, rappresenta una delle cifre di questa rassegna.

Il disegno rappresentò per Van Gogh il costante contatto con l’arte, il segno tangibile del suo progresso nell’attività pittorica che lo vide, almeno all’inizio, praticamente autodidatta. Il disegno servì a Van Gogh «come una grammatica che sia della mano e dell’anima insieme, una lingua necessaria e anzi indispensabile per parlare delle cose del cuore.»

Nella mostra vicentina sono tantissimi i disegni che meritano qualche minuto di assorta meditazione, come quelli che riproducono il mondo contadino del Brabante che colpì molto Van Gogh che sentì, come scrive Goldin, «tutta l’infelicità e la difficoltà nel vivere di queste donne e questi uomini» quella inerme passività che sfociava nell’inevitabile accettazione della sofferenza. Menzione particolare meritano le diverse versioni della Donna che cuce, soggetto che Van Gogh prese in prestito da Josef Israels, che all’epoca fu definito il nuovo Rembrandt, ma anche il bellissimo e idilliaco Angolo di giardino che Van Gogh realizzò nel giugno del 1881 ad Etten o Donna sul letto di morte del 1883. Quest’ultimo disegno rappresenta un soggetto decisamente inconsueto, quello della morte di una donna, idea forse suggerita dalla lettura dei Miserabili di Victor Hugo, come racconta Van Gogh al fratello Theo in una lettera dell’11 aprile del 1883, in particolare dal personaggio di Fantine, una prostituta presente nel capolavoro dello scrittore francese

Proprio le lettere che Vincent scrisse all’amato fratello sono uno degli aspetti più importanti e significativi della mostra vicentina che, non permettono solo di conoscere i motivi che stanno alla base della genesi delle opere del pittore olandese, ma sono «una documentazione straordinaria per entrare nel suo vero e proprio laboratorio dell’anima», utili strumenti per scandagliare l’intimo di un uomo straordinario, il suo avvincente e drammatico viaggio che lo condusse fino al suicidio, due giorni dopo aver incontrato Theo, sua moglie Johanna, che fu fondamentale per la fortuna postuma del pittore olandese e il piccolo nipote Vincent.

Particolare interesse desta la sezione dedicata al periodo trascorso dal pittore nella casa di cura per malattie mentali di Saint-Remy-de-Provence, che fu foriera di meravigliosi dipinti fra cui il bellissimo Il giardino dell’istituto a Sant-Remy realizzato nel 1889 con la tecnica del bagnato su bagnato ed esposto nella mostra come il suggestivo plastico della struttura psichiatrica.

Ma di certo la parte della mostra che incanta letteralmente i visitatori è senza dubbio quella riservata ai quindici mesi trascorsi ad Arles, a partire dal febbraio 1888. In quel periodo Van Gogh, non solo realizzò circa duecento quadri e più di cento fra disegni e acquarelli, ma scoprì l’azzurro del cielo, «chiazzato di nubi di un azzurro più chiaro» come scrisse in una lettera al fratello Theo, il giallo del grano e la tinta del mar Mediterraneo, cangiante come il colore degli sgombri.

Visitare Van Gogh tra il grano e il cielo è anche l’occasione per vedere capolavori mai usciti dal Kroller Muller Museum di Otterlo, nei Paesi Bassi, la seconda collezione consacrata a Van Gogh più vasta al mondo, opere come Ritratto del sottotenente Millet che confermano il genio unico del pittore olandese che «ha voluto guardare il sole e l’origine della luce.»

 

Maurizio Carvigno

Nato l'8 aprile del 1974 a Roma, ha conseguito la maturità classica nel 1992 e la laurea in Lettere Moderne nel 1998 presso l'Università "La Sapienza" di Roma con 110 e lode. Ha collaborato con alcuni giornali locali e siti. Collabora con il sito www.passaggilenti.com

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