La mostra La Dolce Vitti, aperta al pubblico fino al prossimo 10 giugno, celebra una delle più grandi attrici italiane che si impose nel maschilista mondo comico italiano con una bravura unica, risultando la migliore.
«Quando a quattordici anni e mezzo avevo quasi deciso di smettere di vivere, ho capito che potevo farcela, a continuare, solo fingendo di essere un’altra. E’ stato come, per un naufrago, trovare un relitto a cui appoggiarsi.»
A parlare ricordando il suo esordio come attrice in una compagnia di dilettanti che, nella Roma post bellica, mise in scena La Nemica di Dario Nicodemi, è Maria Luisa Ceciarelli in arte solo e soltanto Monica Vitti.
A omaggiare una delle più grandi attrici italiane è una bellissima mostra, dall’accattivante titolo di La Dolce Vitti. Nelle sale del Teatro dei Dioscuri al Quirinale è possibile, fino al 10 giugno, immergersi nel mondo di Monica Vitti; un’attrice a tutto tondo, che fece innamorare per la sua recitazione, per la voce graffiante, per la bellezza mai banale e per strappare immense risate.
La mostra, curata da Nevio De Pascali, Marco Dionisi e Stefano Stefanutto Rosa, ripercorre tutte le tappe della carriera della Vitti, dall’esordio al cinema in ruoli minori, al capitolo meno conosciuto del doppiaggio.
Un mondo che regalò non poche soddisfazioni all’attrice romana, nonostante per molti con quella voce “arrugginita”, tutto potesse fare tranne che il cinema. Prestò la sua voce a una prostituta in Cabiria di Federico Fellini o alla moglie di un ladro nei Soliti ignoti.
Poi arrivò Michelangelo Antonioni.
Il regista ferrarese, per doppiare la parte della benzinaia nel film Il grido, cercava qualcosa di particolare. Per quel personaggio occorreva una voce «un po’ sfiatata, abituata all’aria aperta» e quella di Monica gli sembrò perfetta.
Quel film fu per la Vitti, dopo qualche comparsa in pellicole poco note, il trampolino di lancio nel mondo del cinema. Antonioni comprese, durante le riprese del Grido, che la Vitti potesse dare molto anche come attrice, perché capace di recitare come poche la sincerità.
La volle accanto per ben quattro film e il primo fu L’avventura, un titolo quanto mai evocativo, per una donna che aveva deciso di puntare tutto sulla recitazione.
Al cinema drammatico seguì quello comico e l’impresa fu ancora più ardua, ma vincente. Negli anni Sessanta la comicità era una prerogativa esclusiva degli uomini, un mondo declinato al maschile. Per le donne non c’era spazio, per molti registi e non solo, semplicemente non sapevano far ridere. Per fortuna di Monica e nostra non tutti la pensarono così.
Monicelli e Scola, ad esempio, ritenevano che la Vitti andasse trattata «come un comico.»
Se da attrice drammatica Monica si era imposta, da comica sparigliò decisamente le carte.
E poi arrivò l’incontro con Alberto Sordi e nacque una coppia cinematografica irripetibile.
Il comico romano la volle accanto in film quali Polvere di Stelle, Amore mio aiutami, (dove comparve una giovanissima Fiorella Mannoia in veste di controfigura della Vitti nella famosa scena degli schiaffi) o Io so che tu sai che io so.
Monica, ripeté spesso Alberto Sordi, aveva «un’intelligenza professionale» affine alla sua, risultando «l’attrice ideale per lavorare in coppia.»
La Dolce Vitti è l’occasione per rendere omaggio a una delle più grandi attrici italiane, capace di vincere 5 David di Donatello, 3 Nastri d’Argento e un Leone d’Oro alla carriera, di far emozionare e, cosa assai più ardua, di far ridere.
«Ricordo un articolo uscito in Francia che diceva: in Italia ci sono cinque comici, quattro maschi e una donna. E’ stato il complimento più bello che ho mai ricevuto.»