“Klimt. La Secessione e l’Italia”: a Roma una mostra capolavoro

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Con importanti prestiti, tra i quali quelli dal Belvedere Museum di Vienna e dalla Klimt Foundation, il Museo di Roma a Palazzo Braschi inaugura una mostra che fa sognare. Fino al 27 marzo 2022.

Sono passati esattamente centodieci anni da quella Esposizione internazionale tenutasi a Roma dove, nel padiglione austriaco progettato da Josef Hoffmann, sono presentati con grande successo otto dipinti di Gustav Klimt. Risale, invece, all’anno precedente la sua partecipazione con una propria sala alla Biennale di Venezia. Quello con l’Italia è, dunque, per l’artista viennese un legame determinante: basti pensare ai frutti dei soggiorni di fine Ottocento a Firenze, Genova, Verona e Venezia per studiare l’influenza che il Rinascimento ebbe sull’arte o a quelli a Ravenna datati 1903. Da qui scriverà alla madre che i «mosaici sono di incredibile splendore»: definizione che calzerebbe già ad alcune sue opere e che ne diverrà uno tra i caratteri più riconoscibili per almeno un decennio.  

La mostra, divisa in quattordici sezioni, illustra non solo la produzione artistica di Klimt attraverso 49 opere autografe: al centro della sua indagine, oltre al rapporto con il nostro Paese, ci sono le origini e le conseguenze di quel movimento poi noto come Secessione Viennese, le produzioni dei suoi seguaci e l’influenza che ebbe sugli artisti italiani.

Le origini della Secessione Viennese

Tutto parte da Vienna, come racconta la prima sezione: nel 1857 l’imperatore Francesco Giuseppe decide di farne abbattere le antiche mura e cingerla con una doppia strada alberata, la “Ringstrasse”. Tra coloro che, nel 1900, lavorano per la realizzazione e decorazione dei nuovi edifici che la costellano ci sono l’architetto Otto Wagner e Gustav Klimt. I due rompono con la tradizione, rivendicando il principio secondo cui «Tutto ciò che è creato con criteri moderni deve corrispondere ai nuovi materiali e alle esigenze del presente». Un atteggiamento che in breve si declina in cultura, letteratura, musica.

La seconda sezione si concentra sulla famiglia Klimt, soprattutto circa il sodalizio tra i due fratelli Gustav e Ernst che – insieme all’amico Franz Matsch – fondano la “Compagnia di artisti”, specializzata in dipinti su pareti e soffitti tanto da ricevere importantissime commissioni da teatri, musei e palazzi di rappresentanza. Con l’improvvisa morte di Ernst la compagnia si scioglie e, come narra la terza sessione, nel 1897 viene fondata la Secessione Viennese di cui Gustav è presidente. Tra le testimonianze qui esposte, le due versioni del manifesto da lui disegnato raffigurante Teseo che lotta con il Minotauro: l’originale e quella censurata dalle autorità, che imposero i genitali dell’eroe fossero coperti dal tronco di un albero.

La sezione successiva è dedicata al design del periodo: la progettazione di oggetti artistici è affidata a importanti aziende viennesi, come la “Johann Lötz Witwe” specializzata in vetri iridescenti, i manifesti delle numerose mostre rivelano una grafica innovativa e viene lanciata la rivista “Ver Sacrum”.

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Moriz Nähr – Foto di gruppo con gli artisti della cosiddetta “Mostra di Beethoven” nella sala centrale del Palazzo della Secessione a Vienna; nella fila davanti, da sinistra a destra: Kolo Moser, Maximilian Lenz, Ernst Stöhr, Emil Orlik, Carl Moll; nella fila dietro da sinistra a destra: Anton Nowak, Gustav Klimt, Adolf Böhm, 1902. Gelatina d’argento, 13,9×19,8 cm. Klimt Foundation, Vienna © Klimt Foundation, Vienna

Klimt, l’Italia e le donne

La quinta sezione raccoglie storie, aneddoti e testimonianze dei primi viaggi in Italia dell’artista viennese: interessantissime le cartoline autografe da cui trasuda un genuino entusiasmo per quanto visitato e studiato. Klimt, infatti, ha già iniziato a mettere a frutto quanto osservato: prova ne è l’iconico “Giuditta” – a cui è riservata la sesta sezione – che, di fatto, può essere considerato il capofila di quei ritratti di donne dal fascino ambiguo che tanto spazio avranno nelle sue creazioni.

Inevitabilmente, è al ritratto femminile che è intitolata la sezione successiva: qui prendono posto quei disegni e quegli schizzi preparatori finalizzati a un minuzioso esame della figura per giungere alla posa perfetta. Questa può essere ben rappresentata dallo stupefacente “Ritratto di signora” del 1894 circa: la tecnica pittorica è praticamente fotorealistica, i dettagli dell’abito e dei gioielli impressionanti.

I “Quadri delle facoltà”: recuperare l’irrecuperabile

Quando nel 1894 il Ministero della Pubblica Istruzione chiese a Gustav Klimt e Franz Matsch di dipingere delle allegorie monumentali per l’Aula Magna dell’Università di Vienna non si aspettava di ritrovarsi di fronte a delle rappresentazioni di Filosofia, Medicina e Giurisprudenza così sconvolgenti. Klimt, infatti, coglie l’occasione per realizzare una vera e propria summa di ambiguità e morbosità, fatta di visioni inquietanti e controverse che indigna sia il pubblico sia la politica dell’epoca: l’artista rinuncia, così, all’incarico e restituisce l’onorario. L’Italia, invece, si interessa particolarmente a queste opere, tanto che “La Giurisprudenza” viene presentata a Roma nel 1911. I tre “Quadri delle facoltà” sono analizzati nell’ottava sezione: distrutti durante un incendio al castello di Immendorf alla fine della Seconda Guerra Mondiale, nessuno di essi è stato fotografato a colori. Fa eccezione una figura della parte inferiore de “La Medicina”: Igea, dea della salute, di cui è esposta una collotipia a colori proveniente dal portfolio di Klimt, stampata e pubblicata dalla tipografia di stato di Vienna. Ma grazie all’impegno di un gruppo di ricerca all’interno di un progetto digitale realizzato da Google Arts & Culture è stato possibile, attraverso tecnologie informatiche quali l’apprendimento automatico e l’intelligenza artificiale per ricavare il colore originale dalle immagini in bianco e nero, creare delle repliche il più fedeli possibile a quanto perduto per merito della consulenza di Franz Smola, uno dei curatori e tra i maggiori esperti al mondo di Klimt. Il risultato è visibile al pubblico per la prima volta.

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Gustav Klimt – Hygieia, particolare del quadro della facoltà La Medicina. Collotipia a colori dal portfolio Gustav Klimt. Eine Nachlese, a cura di Max Eisler, stampato e pubblicato dalla Tipografia di Stato, Wien 1931, 1900-1907 ìLitografia su carta, 48,1×45,5 cm Klimt Foundation, Vienna © Klimt Foundation, Vienna

La replica del “Fregio di Beethoven”

Sempre a proposito di repliche, straordinaria quella del “Fregio di Beethoven” ospitata nella nona sezione: dall’aprile al giugno del 1902 la XIV mostra della Secessione Viennese aveva presentato un omaggio al compositore tedesco attraverso svariate opere. La più grandiosa è di certo quella firmata da Klimt: un fregio murale lungo più di 34 metri, che può essere considerato una vera e propria interpretazione visiva della “Nona Sinfonia”. In esso, esseri femminili simboleggianti “l’anelito alla felicità” incontrano tre figure nude tra cui una coppia inginocchiata nell’atto di implorare un cavaliere: si tratta rispettivamente de “le sofferenze del debole genere umano” che si rivolgono a “l’uomo forte e ben armato”. Sarà lui, mosso dalle personificazioni della Compassione e dell’Ambizione a “intraprendere la lotta per la felicità” contro le “forze ostili” rappresentate da tre lascive Gorgoni accompagnate dalla Morte e da uno scimmiesco Tifeo cui si aggiungono le figlie Lussuria, Impudicizia, Intemperanza. Infine l’emaciata “angoscia che rode”, accosciata davanti alle spire del mostro. “L’anelito alla felicità” supera tutto questo, giungendo fino alla Poesia che lo placa, complici le figure femminili che rappresentano le Arti e che conducono al “coro degli angeli del Paradiso”: è questo il “regno ideale, l’unico in cui possiamo trovare la pace assoluta, la felicità assoluta, l’amore assoluto” rappresentato dai due amanti che si baciano con il Sole e la Luna loro testimoni. Fortunatamente, al termine di quella XIV mostra e a differenza di molte altre opere realizzate per la medesima occasione, il “Fregio di Beethoven” non viene demolito: rimosso dal muro, passa per svariati privati prima di essere confiscato dal regime nazista ed è restituito all’ultimo proprietario solo al termine della Seconda Guerra Mondiale. Negli anni ’70 viene acquistato dalla Repubblica d’Austria, restaurato e conservato presso il Palazzo della Secessione Viennese dove si trova tutt’ora sottoposto a vincolo di inamovibilità. Ecco perché sarebbe il caso di specificare più chiaramente in didascalia che, per quanto fedelissima e di straordinaria fattura, quella visibile a Roma è una replica.  

Uno sguardo ai paesaggi e uno ai successi italiani

Dalla sezione decima, dove impera il gusto assolutamente idealistico di Klimt e dei suoi per una natura paradisiaca, senza nuvole o altre sgradevolezze, si passa alle tre successive: la undicesima contiene varie testimonianze di quanto presentato all’Esposizione internazionale di Belle Arti di Roma del 1911; la dodicesima riguarda quanto esibito sia alla Biennale Internazionale d’Arte di Venezia del 1899 sia in quella già citata del 1910: è qui che, oggi come allora, è possibile ammirare “Amiche I (Le sorelle)”; la tredicesima documenta la cosiddetta Secessione Romana e la relativa seconda mostra, tenutasi nel 1914.

L’ultima opera: un’irresistibile sposa

Il 6 febbraio del 1918, a 55 anni, Gustav Klimt muore a causa di un ictus che lo ha colpito il mese prima: la sua fine, improvvisa e prematura, ci lascia alcuni straordinari incompiuti, riuniti nella quattordicesima e ultima sezione. È il caso di un capolavoro poco conosciuto: “Ritratto di dama in bianco”, che incanta per l’enigmatico sorriso e il potente contrasto tra gli sfondi separati dalla figura. Impossibile, poi, distogliere gli occhi da quella che è considerata come la sua ultima opera: “La sposa”. Si tratta di una tela tra le più grandi mai dipinte dall’artista, in cui carica sensuale, onirica e disturbante giungono all’apice. La protagonista, che dà il nome al quadro e il cui soggetto forse deriva da un omonimo racconto scritto dall’autore viennese Arthur Schnitzler nel 1891, dorme avvolta in un manto blu. Accanto a lei c’è un uomo, la cui figura è quasi sommersa da un gruppo di donne in svariate posture: sono le diverse espressioni del piacere, i cui disegni preparatori sono anch’essi esposti. Dall’altro lato, una figura femminile inquietante: la veste, nonostante i decori, rimane trasparente rivelandone il sesso. L’espressione del viso, non solo perché quest’ultimo è soltanto abbozzato, ha un che di indecifrabile e maligno. Cosa voleva suggerirci Klimt? Non lo sapremo mai.

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Gustav Klimt – La Sposa, 1917-18. Olio su tela, 165×191 cm. Klimt Foundation, Vienna © Klimt Foundation, Vienna

La signora perduta e ritrovata

Anch’esso appartenente all’ultima fase dell’artista, questo “Ritratto di signora” è al centro di un giallo ancora tutto da risolvere: dipinto sopra un soggetto dal viso identico ma abbigliato in maniera totalmente differente – e per questo a lungo ritenuto perduto – viene rubato dalla Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi il 22 febbraio del 1997. Passano più di vent’anni tra false piste, mitomani, medium, ipotesi più o meno verosimili: improvvisamente, il 10 dicembre 2019 il quadro riappare all’interno di un piccolo vano chiuso da uno sportello privo di serratura nel muro esterno dello stesso luogo da cui era sparito. Per la gioia di tutti coloro che, adesso, possono ammirarlo. “Ritratto di signora”, inoltre, rappresenta una sorta di anteprima della mostra “Klimt intimo”, che verrà inaugurata il 5 aprile 2022 proprio presso la Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi a Piacenza.

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Gustav Klimt – Ritratto di Signora, 1916-17 Olio su tela, 68×55 cm. Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi

Perché visitare la mostra “Klimt. La Secessione e l’Italia”

A differenza di quelle mostre dove l’aggiunta nel titolo di un tema oltre al nome del protagonista è una scusa per esibire un paio di opere autografe, molte riproduzioni e un numero infinito di seguaci o – peggio – emuli, la mostra di Palazzo Braschi è chiaramente il risultato straordinario di un’autentica intesa tra il Museo di Roma e non solo il Belvedere Museum o la Klimt Foundation ma anche collezioni private come la Neue Galerie Graz.

L’allestimento di Tagi2000 progettato da BC Progetti di Alessandro Baldoni e Giuseppe Catania con Francesca Romana Mazzoni non solo valorizza ma impreziosisce ogni opera, grazie all’utilizzo diffuso non di vernice dorata ma di autentica foglia oro.

La qualità delle opere scelte per accompagnare quelle di Gustav Klimt e approfondirne tematiche, periodo storico, influenza è eccellente.

Cristian Pandolfino

Foto in evidenza: Particolare da Gustav Klimt – “Ritratto di Signora”, 1916-17. Olio su tela, 68×55 cm. Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi

Nato a Messina, si laurea con lode in Filosofia e decide di trasferirsi a Roma per frequentare un master in scrittura creativa e pubblicitaria presso l’Istituto Europeo di Design. Copywriter da più di un decennio, ha lavorato per numerosi clienti nazionali e internazionali senza mai perdere di vista le sue autentiche passioni: le religioni, la mitologia classica, il cinema, il teatro, la musica, l’arte, la fotografia, la letteratura e, ovviamente, la scrittura. Cura un suo blog - Il Neomedio - e collabora con varie realtà on-line.

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