“Venere con Cerere e Giunone” di Raffaello alla Farnesina: spiegazione

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Essere belle a volte può essere una maledizione, soprattutto se tutto questo fascino offende la vanità di Venere, la più bella di tutte. La favola di Amore e Psiche racconta il prezzo dovuto pagare dalla fanciulla mortale per il suo ineguagliabile splendore, tanto da scatenare l’ira della stessa dea. Ve l’avevo detto che non era proprio una fortuna, ma vediamo come lo dipinse Raffaello..

Nella splendida cornice di villa Farnesina sul Lungotevere Agostino Chigi commissionò a Raffaello di affrescare la volta della loggia al pian terreno. Venne scelto come tema iconografico il mito descritto da Apuleio nell’Asino d’oro, una delle storie d’amore più amate e conosciute del Rinascimento. Il progetto decorativo coinvolse la scuola del pittore urbinate, a cui può attribuirsi l’intera invenzione, ma non l’esecuzione pittorica vera e propria, che spetta invece ai suoi più abili assistenti.

L’infuso di oggi è Venere con Cerere e Giunone, un episodio importante della favola di Amore e Psiche, dipinto in uno dei pennacchi della volta della Farnesina. La loggia venne affrescata nel 1518 dalla bottega di Raffaello divenendo la rappresentazione a Roma del nuovo ideale classico dell’artista.

Potete visionarlo qui.

Cosa sta succedendo nel dipinto?

Venere è venuta a conoscenza che suo figlio, Amore, ha condotto nel suo palazzo reale sul Monte Olimpo una ragazza mortale, Psiche, di cui si è perdutamente innamorato. La dea è indignata dalla scelta del giovane di unirsi ad una donna di rango inferiore e che oltretutto l’ha offesa irrimediabilmente. Infatti la fanciulla è talmente tanto lodata per la sua bellezza da essere adorata sulla terra come se ella stessa fosse una divinità immortale. Che oltraggio a lei, Venere, la dea dell’amore, l’unica e sola a meritare tali onori! Psiche deve essere punita per la sua arroganza e la loro unione ostacolata in ogni modo…

Nell’affresco vediamo la vanitosa divinità che si è rivolta per cercare sostegno da Cerere e Giunone, le quali invece non approvano il suo comportamento capriccioso e volubile rifiutandole l’aiuto richiesto. Prima di andarsene la dea della bellezza si volge verso Giunone che le parla chiaramente con moti molto animati, la bocca è semiaperta e le braccia spiegate. Cerere con il capo cinto dalla corona di spighe intanto osserva con scetticismo la sciocca rabbia di Venere e cerca di mediare tra lei e la stessa moglie di Zeus, che sembra piuttosto agitata dal discorso.

L’incontro tra le tre dee venne raccontato da Apuleio, che rimane la fonte principale per l’ideazione degli affreschi raffaelleschi, dove infatti si legge che la figlia di Uranio, indignata perché le sue offese venivano prese così poco sul serio dalle compagne, voltò le spalle prendendo la via del mare. Difatti Raffaello la immagina proprio nel momento in cui sembra allontanarsi muovendo già il busto e tendendo la gamba sinistra in avanti.

Cos’è che ci fa entrare nel dipinto?

L’invenzione di Raffaello per la loggia di Psiche alla Farnesina è di una chiarezza formale e compositiva senza eguali. Le figure si muovono con gesti e atteggiamenti sensibilmente umani, le divinità celesti sono animate dalle nostra stesse emozioni a cui l’urbinate sa ormai dare la giusta rappresentazione.  I moti dell’animo sono personalizzati, si fanno carne nei volti espressivi e nei movimenti concitati.

Osservando in particolare l’episodio di Venere con Cerere e Giunone riusciamo a calarci profondamente nell’acceso dialogo tra le tre dee. Ci possiamo impersonare in Cerere, con il volto dolce e lo sguardo mite, che delicatamente tenta di placare gli animi delle due potenti divinità. Alza la mano verso Giunone come per fermarla, la vede che si sta evidentemente agitando, infatti la moglie di Zeus non vuole darla vinta a Venere e sembra proprio che le stia spiegando senza mezzi termini l’insensatezza delle sue azioni.

Ma non si rende conto questa smorfiosa che il figlio è soltanto un ragazzo giovane e sensibile alla bellezza femminile? E lei, madre e dea, se la prende tanto per sciocchezze tra fanciulli innamorati.

Venere al contrario non ne vuole sapere, è testarda e cocciuta, le sue ragioni sono giuste e devono essere difese, per cui se ne va, offesa e oltraggiata, in tutta la sua statuaria e incomparabile magnificenza, con i seni nudi ed i lunghi capelli biondi che le ricadono sulla schiena. Si può effettivamente rimanere incantati dalla grazia e delicatezza formale che distingue queste splendide figure immortali.

Due parole sullo stile…

Alla Farnesina Raffaello rinnovò la gioia di vivere e l’amore espressi dal mondo classico alla luce di uno spirito profondamente umano e cristiano. Le sue divinità sono animate da vita propria in un modo assolutamente inedito che esprime una nuova consapevolezza da parte dell’artista di un centro di gravità coincidente con il centro stesso dell’essere umano.

Venere, Cerere e Giunone traggono forma proprio dalla profondità del sentimento che le anima, vediamo nelle loro statuarie figure, immortalate in pose classiche, un nuovo senso di volontà e di determinazione che Raffaello lascia esprimere nella libertà di gesti ed espressioni.

Ai corpi femminili viene conferita una rara delicatezza formale attraverso cui si capisce che l’artista ormai ha conquistato una perfetta padronanza dello stile figurativo dell’arte antica con figure che hanno la pienezza di forme e volumi dei loro modelli classici, ma allo stesso tempo animate da sentimenti sensibilmente umani. Raffaello alla Farnesina ha battezzato gli dei olimpici.

L’infuso d’arte di oggi è terminato, in vista del prossimo appuntamento questa volta non mi resta che augurarvi buone feste! Vi aspettiamo per il prossimo anno, i nostri infusi sono già in caldo per voi…

Martina Patrizi

23 anni, laureata in letteratura e linguistica italiana all'università degli studi di Roma Tre. Amante dell'arte e della vita, mi tuffo sempre alla ricerca della bellezza e di una nuova avventura. La mia frase è "prima di essere schiuma, saremo indomabili onde".

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