Tre protagonisti, un unico grande attore, Filippo Timi in “Una casa di Bambola” al Teatro Argentina
Ibsen è stato rappresentato molte volte, in chiavi diverse e sfaccettature più o meno complesse, ma se volete vedere il vero significato della drammaturgia, senza fronzoli, orpelli, essenziale e puro dovete vedere la versione per la regia di Andrée Ruth Shammah.
Durante questa stagione teatrale ho visto diverse opere, commedie, drammi, musical ma se vogliamo parlare di recitazione, questa è un’altra storia. Qui si recita, si entra nel personaggio, si sentono le vibrazioni e i sospiri degli attori. Filippo Timi grande, bravissimo ma soprattutto vero, riesce a calarsi in tre personaggi diversi (Torvald il marito, il dottor Rank e l’usuraio Krogstad) con un movimento, impercettibile.
Il pubblico si scorda che sia sempre lui a entrare e uscire dal palcoscenico. Compagna di spettacolo la bravissima, Marina Rocco, sostiene il ruolo di coprotagonista in maniera eccellente, nei panni di Nora, la moglie di Torvald, ingenua e leggera come un’allodoletta, lo scoiattolino del focolare, la bambolina, eppure così dura e determinata nel finale.
Il connubio Ibsen-Timi funziona, in entrambi la verità è la parte più profonda dell’arte, personaggi reali e non, ma fatti di carne e di sangue.
Ogni apparizione di Filippo sui palcoscenici romani è una sorpresa, sempre diverso e geniale, ho nostalgia anche del “Don Giovanni” dell’anno scorso e di “Amleto” con le sue note di follia, non concesse, anzi contenute, in un classico come “Una casa di bambola”.
I baci appassionati con Nora (beata lei) risvegliano il desiderio, sono veri, ma non in quanto tali, veri baci tra i personaggi. Reale è anche la tarantella, ballata da Torvald per mostrarla alla moglie prima del ballo in maschera, qui trasuda la sua follia per qualche attimo.
Il Teatro Argentina con i suoi palchi avvolgenti di velluto rosso, ha il potere di creare la rappresentazione quasi privata e ancora più intima, si è liberi di muoversi, appoggiarsi alla balaustra, lasciarsi andare e cullare dalle frasi degli attori, come se fossimo presi per mano e portati nella storia, ne risulta un godimento completo, una concentrazione diversa e una libertà che amo molto.
Uscendo, alla fine dello spettacolo, si ha la sensazione di aver visto una bella rappresentazione, con un’ottima recitazione. Il giorno dopo svegliandoci ci accorgiamo che le nostre membra sono permeate, per osmosi sensoriale, dalle frasi, le espressioni e i sentimenti dell’opera teatrale. Abbiamo vissuto spettatori e protagonisti la vita di una famiglia ottocentesca, curiosando nelle loro vicessitudini che sono diventate parte di noi.
“Si brinda alla commedia o alla tragedia? Alla commedia-tragica”.
Questo è essere attori, questa è la magia di Timi.
Sara Cacciarini
Foto di Tommaso Le Pera