“Un tram che si chiama desiderio”, con Mariangela D’Abbraccio e Daniele Pecci, ha debuttato il 3 marzo al Teatro Quirino di Roma.
Purtroppo, però, anche questo bellissimo adattamento di “Un tram che si chiama desiderio” si è dovuto fermare al capolinea prima del previsto, a causa delle restrizioni adottate per prevenire il contagio da Coronavirus.
Il Teatro Quirino, infatti, ha deciso di chiudere, in ottemperanza al D.P.C.M. DEL 4.3.2020, fino al 3 aprile. Le repliche dello spettacolo saranno, quindi, recuperate dal 1° all’11 ottobre prossimo.
E noi vi consigliamo di segnarvi queste date, perché “Un tram che si chiama desiderio”, nell’adattamento di Pier Luigi Pizzi, che ne cura anche la regia, è un’esperienza da non perdere.
Il dramma di Tennessee Williams è sicuramente molto conosciuto, almeno di nome. La leggenda vuole che il drammaturgo, allora studente, fosse proprio su un tram quando gli venne l’idea della pièce.
Ambientato a New Orleans negli anni ’40, racconta la storia di Blanche (Mariangela D’Abbraccio). Perduta la casa di famiglia, pignorata dai creditori, va a trovare la sorella Stella (Angela Ciaburri). Blanche è alcolizzata, in preda ad una crisi di nervi e fortemente segnata dalla morte prematura del marito omosessuale. Entra subito in conflitto con Stanley (Daniele Pecci), il marito polacco di Stella. È un uomo volgare, che si rivelerà presto anche violento.

Con “Un tram che si chiama desiderio” Williams mise l’America davanti alle sue ipocrisie e ai suoi pregiudizi rispetto all’omosessualità, al sesso, al disagio mentale, alla libertà sessuale femminile. Ma se questi erano i temi che più facevano scalpore nel 1947 in cui è stato scritto, oggi questo dramma, con questo adattamento, continua ad essere moderno. Infatti, basta spostare l’attenzione sulla violenza domestica contro le donne per sentirsi nel pieno dell’attualità.
Quella tra Blanche, Stella e Stanley è una strana triangolazione.
Il forte legame tra due sorelle non sfugge alla classica rivalità sottesa tra loro e al confronto continuo sullo spazio dell’amore nelle loro vite.
C’è l’incontro/scontro tra l’uomo violento e la donna malata di mente, che tuttavia è lucida nel riconoscere la violenza, molto più della donna vittima la quale, pur essendo apparentemente “sana”, la confonde con il rovescio della medaglia dell’amore. Anche se Blanche è mentalmente fragile, riesce a vedere la realtà più lucidamente di quanto non faccia Stella. Quest’ultima, infatti, accetta e perdona la violenza che subisce dal marito. La considera parte inevitabile del rapporto uomo-donna, quasi lo scotto da pagare per avere un uomo.
L’adattamento di “Un tram che si chiama desiderio” che ha debuttato al Teatro Quirino ha reso giustizia al dramma di Tennessee Williams.
Una scenografia grigia e funzionale, anch’essa curata da Pier Luigi Pizzi, accoglie lo spettatore, mettendo in evidenza soprattutto la presenza scenica degli attori.
All’inizio, però, sembra quasi che questi ultimi, pur bravissimi, stiano “facendo il compitino”. Sembra mancare un po’ di tensione drammatica. Delle battute schiette, dirette e primitive di Stanley, il pubblico sembra cogliere più la crudele ironia che la violenza psicologica. Forse c’è qualche timida risata di troppo. La responsabilità parzialmente è da attribuire all’interprete, Daniele Pecci, non proprio convincente.
Mariangela D’Abbraccio, invece, è semplicemente perfetta, completamente calata nel personaggio, in ogni gesto, seppure minimo, in ogni sguardo, in ogni parola.
Noi che l’avevamo già ammirata in “Filumena Marturano”, sempre al Teatro Quirino, abbiamo potuto confrontare le due interpretazioni, a conferma del talento e della tecnica straordinari dell’attrice. Due personaggi diversissimi tra loro, in cui D’Abbraccio si è immersa diventando, rispettivamente, prima Filumena e poi Blanche. Si è messa a servizio del personaggio di Blanche con rispetto, senza caricature.
Un plauso lo merita sicuramente anche Angela Ciaburri, che ha recitato Stella in modo credibile, rendendone la semplicità e la verità dei suoi sentimenti, sia per il marito che per la sorella. Altro grande plauso va a Stefano Scandaletti, nel ruolo di Mitch: tormento e voglia di vivere si mischiano in un profondo abbraccio, che gli occhi dell’attore ci ricordano con estrema semplicità.
D’altronde, uno degli scambi più dolci del dramma è proprio tra Mitch e Blanche. “Dal dolore nasce la sincerità”, dice Blanche. Quel poco di verità che c’è nel mondo c’è perché esiste il dolore. Per questo le piacciono le persone che hanno sofferto: perché sono sincere. Un dialogo dolce in mezzo ad una violenza tragica e al dramma della malattia dimostra la grandezza di questo spettacolo.
Francesco Fario e Stefania Fiducia