Qual è il senso di riportare in scena uno spettacolo dopo oltre venti secoli se non quello di riproporre un messaggio considerato ancora attuale?
Fin qui la domanda è retorica, specialmente per gli estimatori del teatro antico. Questo sicuramente era l’intento di Adelphoe (I Fratelli) per la regia di Silvio Giordani, regia che onestamente non ho percepito. Da antichista quello a cui ho assistito è stata la recitazione di un testo di Terenzio, in questo caso la storia di due fratelli, uno burbero, l’altro libertino, che crescono due figli con approcci totalmente opposti. La morale della commedia è far comprendere che i rigidi valori del mos maiorum non servono a guadagnarsi l’amore della prole, che invece va lasciata libera di agire.
Partendo dal presupposto che già la commedia terenziana non è che la rielaborazione del genio di Menandro, ovvero uno dei più grandi esponenti della commedia nuova ellenistica, mi risulta davvero difficile trovare un pregio nello spettacolo proposto dalla rassegna Teatri di Pietra, a parte la meravigliosa location, presso l’Arco di Malborghetto, sulla via Flaminia di Roma.
L’umorismo latino, e ancor di più quello terenziano, è molto difficile da seguire, a differenza di quello che potrebbe accadere con Plauto. Quindi avrei gradito un’attualizzazione del testo, soprattutto considerando la battuta finale, in cui è stata sottolineata l’attualità dell’opera.
Ma come fa il pubblico a immedesimarsi davvero in un testo tanto antico quanto raffinato se non viene proposta una chiave di lettura che sottolinei da subito il focus della palliata? Seppur non di facile approccio, i testi della Commedia Nuova propongono una psicologia profonda dei protagonisti, che ben si presta, per la grande attenzione alla parola, a sviluppi estrosi.
Il risultato purtroppo è uno spettacolo lento, che non riesce a colpire. E purtroppo gli attori del Centro Teatrale Artigiano non sono riusciti a sopperire tale mancanza.
Alessia Pizzi