Amore mio: la trama di uno spettacolo in mano al pubblico

Amore Mio

Prendiamo uno spettacolo teatrale, diamogli una morale seria e attuale e riassumiamolo quanto più possibile.

Ne vengono fuori tre o quattro scene che ci consegnano il messaggio e una manciata di attori che ci narra l’accaduto. Dopodiché le scene si ripetono, togliendo l’ultimo grande ostacolo, la cosiddetta ‘quarta parete’, cioè quel muro immaginario che separa il pubblico dall’azione scenica, lasciando a quest’ultimo la possibilità di interromperle, intervenire e sostituirsi o aggiungersi ai personaggi e dare un tocco personale, diverso. È su questo senso che si spinge lo spettacolo “Amore mio” della compagnia PartecipArte, in scena al Teatro Palladium di Roma fino al 20 novembre, dove si dibatte dell’attuale e sempre vivo tema della violenza nelle relazioni affettive.

Partendo da un “powerpoint animato”, dove gli attori si sostituiscono alle immagini usando semplicemente gesti ed espressioni come dei ‘tableau vivant’, PartecipArte mostra un breve resoconto della situazione delle donne nell’odierna società, fisse ai cliché di madre perfetta o sex symbol. Ci spiega cosa accade in caso di maternità, nel lavoro e nelle relazioni, dei milioni di casi di obiettori di coscienza in caso di aborto, di quelle donne che non si fissano ai due ruoli citati.

Cullandoci con semplici movimenti, i cinque attori della compagnia iniziano a mostrare scene, dove si parla di Susan e Marco, una coppia giovane, e delle amiche di lei, Stefania e Roberta. Scene che mostrano un arco di tempo diverso, dove la figura di Marco è sempre più opprimente, che va dal portare via la ragazza da un appuntamento con le amiche con un sorriso all’urlarle di aprire una porta chiusa il giorno del compleanno di lei. Scene dove Susan giustifica il suo amante, dove Roberta non crede, fino all’evidenza, che ci sia del male; dove Stefania si lamenta da subito, capendo che non è normale.
La tecnica usata dalla compagnia appartiene al Teatro dell’Oppresso, cioè un metodo di teatro, nata dal brasiliano Augusto Boal. Una tecnica utilizzata per mettere in scena situazioni oppressive del quotidiano per analizzarle e, passando dall’io al noi, cercare insieme un’evoluzione in senso positivo. PartecipArte, utilizzando questa tecnica, promuove l’arte come strumento di partecipazione e di coscienza, per trasformare la realtà. Una strada che s’intraprende senza fare troppo uso della scenografia.
Uno spettacolo che, il giorno della prima, ha visto la partecipazione di un pubblico d’eccezione, cioè gli studenti di alcuni corsi dell’ Università RomaTre, i quali sono intervenuti con entusiasmo e passione, anche se alcuni con un tocco di esibizionismo (“…ma so’ ragazzi, bisogna capirli“), dando uno spaccato moderno del problema, risolto a modo delle future menti del domani.
Soluzioni discutibili, come per fermare un uomo serva comunque la figura di un altro uomo, e soluzioni comuni, come l’essere uniti o la necessità di parlare o la fermezza davanti a situazioni estreme: idee e pensieri che si esprimono liberamente, con uno spirito di coinvolgimento, di cui la compagnia è una buona artefice.
Uno spettacolo che, non usando troppo la parola ma puntando sullo spontaneo, è consigliabile non solo ad un pubblico adulto, che spazia esageratamente dalla fermezza dell’eleganza ad un’eccessiva voglia di mostrarsi, ma anche alla sincerità di un pubblico giovane, specie per una fascia adolescenziale e liceale. In conclusione, un progetto da prendere come esempio, da vedere e da…provare, in tutti i sensi.
Francesco Fario
Attore e regista teatrale, si laurea in Lettere Moderne a La Sapienza per la triennale, poi alla magistrale a TorVergata in Editoria e Giornalismo. Dopo il mondo del Cinema e del Teatro, adora leggere e scrivere: un pigro saccentone, insomma! Con Culturamente, ha creato la rubrica podcast "Backstage"

COMMENTA QUESTA DOSE DI CULTURA

Lascia un commento!
Inserisci il tuo nome qui