“Un nemico del popolo” porta a teatro le debolezze della democrazia

teatro argentina roma

Il regista Massimo Popolizio porta in scena “Un nemico del popolo” l’opera attualissima di Henrik Ibsen fino al 28 aprile al Teatro Argentina.

“Un nemico del popolo” non è la prima produzione che il Teatro di Roma affida a Massimo Popolizio. Di recente, c’è stato “Ragazzi di vita” di Pier Paolo Pasolini, attualmente in tournée.

Questa volta, però, Popolizio non solo dirige, ma interpreta anche quest’opera di Ibsen, un po’ dramma e un po’ commedia.

La trama vede protagonisti i due fratelli Stockman al centro di un conflitto politico e morale. Thomas è un medico – interpretato, appunto, da Massimo Popolizio – che scopre che le acque termali della sua città sono inquinate. La salute della comunità è in pericolo, se non si interviene con una bonifica, quindi lui vuole e deve denunciare la verità.

Delle terme lui è anche il responsabile medico e da esse deriva la tranquillità economica della sua famiglia. Ne consegue che la loro chiusura lo danneggerebbe moltissimo. Ma non solo lui. Il sindaco, suo fratello Peter, gli fa subito notare che è più opportuno insabbiare tutto, perché la denuncia porterebbe alla chiusura del centro termale per alcuni anni. Il sogno collettivo di benessere – dei lavoratori delle terme, ma anche dei piccoli proprietari che affittano le loro case ai turisti – svanirebbe velocemente.

Il conflitto in questione lo conosciamo bene: è quello tra sviluppo economico e salute pubblica (e qui il pensiero vola facilmente alle vicende della città di Taranto e della famigerata acciaieria Ilva).

Al centro della storia, però, c’è la riflessione sulla democrazia e sul dibattito democratico. Henrik Ibsen costruisce tutto sul conflitto tra i due fratelli Stockman, ma anche un terzo soggetto assume un ruolo non da poco: la comunità.

La scienza, la politica e l’informazione finiscono per essere impersonati, rispettivamente, dal dottore, dal sindaco e dai giornalisti locali, che sono anche, però, l’opinione pubblica. Non a caso, il loro giornale si intitola “La voce del popolo”.

Di cosa ha più bisogno una comunità?, si chiede Ibsen, che riempie con innumerevoli battute che ingenerano riflessioni profonde il testo del dramma/commedia, qui nella traduzione di Luigi Squarzina.

Da un lato, ci sono le reazioni della famiglia, degli amici  e dei concittadini del Dott. Stockman alla sua passione civile. Se lui afferma che “bisogna votare comunque!”, ecco che qualcuno gli chiede: “Anche se non ci si capisce nulla?”.

A che ti serve la ragione, se non hai il potere? … e a che serve la verità, se loro non la vogliono?” lo provoca sua moglie.

Il sindaco Peter pensa che il pubblico non abbia bisogno di idee nuove, “semmai delle idee che ha già”.

Dall’altro, il dott. Thomas sa che non ha una maggioranza compatta dietro di sé per vincere contro suo fratello. Ma è convinto che proprio la maggioranza compatta, forte e prepotente sia il nemico peggiore della comunità. E afferma con convinzione che “la maggioranza ha la forza, la minoranza ha la ragione”. Per questo si batte “per quelle verità che sono già nelle coscienze, ma non sono ancora maggioranza”, persuaso che “essere popolo è un traguardo che bisogna conquistarsi”.

Quindi, la scelta di Massimo Popolizio di portare a teatro un testo così attuale, sia per le tematiche, sia per le riflessioni cruciali che produce nello spettatore, è stata coraggiosa. Il pubblico, infatti, si è diviso tra chi apprezzava e chi esprimeva fastidio o perplessità per quello che sul palco si diceva sui paradossi della democrazia.

Lo stile della messa in scena ha dato ottimo risalto alla natura ibrida di “Un nemico del popolo”, che lo stesso Enrik Ibsen era incerto se definire una commedia o un dramma.

Come già scritto, si riflette molto, ma si ride anche. Popolizio caratterizza in modo grottesco il personaggio del dottore. Provoca simpatia il suo coraggio, vicino all’incoscienza di un Don Chisciotte, che però è anche un po’ un uomo in cerca di rivalsa.

Strabiliante l’interpretazione della sempre bravissima Maria Paiato, nel ruolo maschile del sindaco Peter Stockman. La scelta di far interpretare il ruolo ad una donna è interessante; ricorda il teatro antico, ma anche quello shakesperiano, in cui però funzionava al contrario: tutti i ruoli erano interpretati da uomini, anche quelli femminili.

Massimo Popolizio
Maria Paiato e Massimo Popolizio in “Un nemico del popolo” – Foto di Giuseppe Distefano

Un’altra scelta originale e riuscita è stata quella di usare il blues, una musica che accompagna tradizionalmente le narrazioni del Nord America. Quindi, si ha la sensazione di assistere ad un racconto quasi western, nonostante il dramma di Henrik Ibsen sia ambientato in una città termale della Norvegia. Questa impressione è rafforzata dagli intervalli tra una scena dialogata e l’altra, in cui un narratore ci spiega a tempo di blues cosa avviene fuori scena, con l’ausilio di immagini in bianco e nero proiettate in fondo alle quinte. È un ragazzo di colore che ricorda l’immagine di Huckleberry Finn.

Bella la scenografia di Marco Rossi, spoglia e calda allo stesso tempo, con dei pannelli mobili da cui appaiono e scompaiono porte.

I costumi di Gianluca Sbicca sono altrettanto semplici, il nero la fa da padrone. Per tutta la prima parte dello spettacolo, l’unico a non vestire completamente di nero è il dottor Tomas, che indossa il suo camice bianco oppure un impermeabile chiaro. Solo al momento dell’assemblea cittadina anche lui veste solo in abiti scuri. Sembra che solo in questa scena non lo si voglia differenziare dagli altri personaggi, per rappresentarlo come un cittadino tra i cittadini.

Ovviamente, come avrete intuito, si esce dal teatro con delle domande su cui riflettere: se la democrazia è imperfetta, ma comunque la migliore delle forme di governo possibili, le sue “debolezze” sono inevitabili? Oppure possono essere smussate, limitate? E se sì, come? Ed è vero che è uno strumento fragile, soprattutto in mano ad un popolo “ignorante” o poco istruito?

Stefania Fiducia

Photo credit: Giuseppe Distefano

Splendida quarantenne aspirante alla leggerezza pensosa. Giurista per antica passione, avvocatessa per destino, combatto la noia e cerco la bellezza nei film, nella musica e in ogni altra forma d'arte.

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