“7 Minuti” quando i diritti diventano un lusso

7 minuti teatro roma spettacolo
Una delle nove attrici in scena

Il dramma dei lavoratori che lottano per difendere dei diritti. Lo scontro fra bisogni e ideali, il serrato confronto fra generazioni, questo e molto altro è “7 Minuti” lo spettacolo scritto da Stefano Massini andato in scena al Teatro Studio di Roma.

La sensazione che molti spettatori provano prima ancora che lo spettacolo “7 Minuti” inizi, è di essere davvero all’interno di una fabbrica, nel pieno di una decisiva vertenza sindacale.

Impressione che si acuisce quando le bravissime attrici, allieve dell’Accademia Fondamenta La Scuola dell’Attore,  entrano in scena e allora la finzione diventa realtà.

Grazie alla particolare conformazione del Teatro Studio, che non prevede un vero palco, tanto più un boccascena o una platea, ogni spettatore è davvero catapultato in mezzo a quelle nove operaie.

L’allestimento, infatti, si svolge volutamente in un ambiente industriale, nel padiglione di una ex fabbrica ora adibito a spazio culturale e sede di Fondamenta La Scuola dell’Attore.

Ecco, allora, che grazie alla magia del teatro si è davvero all’interno di una stanza di una grande fabbrica.

Si sentono i rumori assordanti e ripetitivi, si annusano gli odori acri, si percepiscono le tensioni.

Scritto da Stefano Massini nel 2015, autore anche del bellissimo 55 giorni L’Italia senza Moro, “7 Minuti” è uno straordinario esempio di teatro sociale.

In scena sale il lavoro, una volta diritto inalienabile, oggi un lusso, un regalo da accettare senza poterlo nemmeno scartare.

Ispirato a una storia vera accaduta in Francia, il testo teatrale di Massini, nel 2016 è stato portato sul grande schermo da Michele Placido.

Ne nacque un film intensissimo, con nel cast una straordinaria Ottavia Piccolo e una convincente Fiorella Mannoia, all’esordio su un set cinematografico.

La trama dello spettacolo è semplice, ma drammatica.

Chiuse in una stanza, nove rappresentanti del Consiglio di Fabbrica di un’importante azienda tessile, da poco passata di proprietà a una multinazionale straniera, devono prendere una decisione relativa al loro futuro e a quello di altri 200 lavoratori.

I temuti licenziamenti sono stati evitati, così come le possibili decurtazioni dello stipendio.

C’è una sola, apparentemente insignificante condizione, che la nuova proprietà pone alle nove delegate.

Nella lettera che ognuna di loro ha ricevuto è scritta una piccola clausola che dovranno decidere se accettare o meno.

I capi, le cravatte come sono sarcasticamente chiamati, chiedono a operaie e impiegate della fabbrica di rinunciare a sette minuti della loro pausa di quindici minuti.

Una richiesta minima a fronte del rischio di perdere il lavoro o comunque di veder ridotto il già magro stipendio.

Fra le delegate serpeggia un palpabile entusiasmo per lo scampato pericolo.

Il lavoro è salvo, un raggio di sole, seppur pallido, filtra nel grigio cielo che sovrasta la fabbrica.

Bisogna solo votare, una mera formalità che le delegate desiderano espletare nel minor tempo possibile per tornare alle loro vite, fuori di lì.

Ma una di loro, Bianca, la più anziana nonché portavoce delle delegate, non è convinta di votare a favore di quella richiesta. Chiede alle altre colleghe di poter discutere la questione, di non liquidare il tutto con una semplice, sbrigativa adesione.

Le prega solo di riflettere, di andare oltre l’apparenza di quella richiesta.

Si tratta di un diritto che si trasforma in lusso, di minuti che diventano, a fine anno, centinaia di ore regalate alla proprietà.

Significa accettare un pericoloso precedente, aprire le porte all’incertezza, acconsentire a un ricatto che lacera, trasformando esseri umani in belve affamate.

Ecco che un voto scontato si trasforma in un’accesa discussione.

Il vissuto, la cultura, le esperienze, le paure, i desideri di ognuna di quelle delegate emergono con virulenza, rabbia, partecipazione.

Nove donne, nove storie che nel chiuso di una stanza si sbranano, costrette a quel gioco al massacro dall’arroganza di un sistema che trasforma lavoratori in numeri, uomini in cartellini da timbrare a inizio e fine turno.

Un testo amaro, drammaticamente attuale, perfettamente reso da tutte le bravissime attrici, che sono un tutt’uno con il loro personaggio.

La saggezza di Bianca, le certezze di Ariana, i dubbi di Ornella, gli incubi delle due operaie straniere che la paura l’hanno vista più volta in faccia e che vorrebbero non sfiorarla più.

Nel suggestivo spazio del Teatro Studio anche gli spettatori sono chiamati a porsi delle domande, a chiedersi se sia più giusto lottare per un ideale o  accettare un piccolo, apparentemente insignificante ricatto, per poter continuare a lavorare e a sopravvivere.

Anche loro saranno chiamati a votare, ad accettare o meno la rinuncia a sette minuti.

E quando arriva il momento di decidere, il peso di quella definitiva scelta, di quel voto, è come un macigno sulla nostra sempre più distratta coscienza.

Un grande, infinito applauso saluta tutte le attrici in scena: Benedetta Nicoletti, Ludovica Alvazzi Del Frate, Giulia Bruni, Elisa De Paolis, Rebecca Giorgi, Maria Beatrice Giovani, Vanessa Litteri, Alisia Pizzonia, Marika Ruta e la piccola Silvia Catalano.

Complimenti alla regista Paola Maffionetti, a Fondamenta Teatro e Teatri che ha prodotto lo spettacolo e all’Associazione “Ritmica Tuscolana” e un sentito grazie all’Ufficio Stampa Federica Guidozzi per la fattiva e cordiale collaborazione.

Il teatro non è solo magia, sublimazione della parola, ma anche impegno e speranza di un futuro, nonostante tutto, migliore.

«Che siamo disposte a fare per lavorare?

Tutto siamo disposte a fare.»

Testo: Maurizio Carvigno

Foto: Teatro Studio

Nato l'8 aprile del 1974 a Roma, ha conseguito la maturità classica nel 1992 e la laurea in Lettere Moderne nel 1998 presso l'Università "La Sapienza" di Roma con 110 e lode. Ha collaborato con alcuni giornali locali e siti. Collabora con il sito www.passaggilenti.com

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