Nella mente di tutti quelli cresciuti con il Pinocchio della Disney, la storia è molto semplice.
C’era una volta un burattino di legno, creato da mastro Geppetto, che si metteva spesso nei guai. Al suo fianco, per aiutarlo a trovare la giusta via, c’erano un simpatico grillo parlante e una materna fata turchina.
La verità, cari miei, è che Pinocchio era un vero osso duro, che ha ucciso il grillo a suon di martellate. Come perché? Perché lo ammoniva troppo per la sua disubbidienza, ovviamente!
La storia del celebre burattino, nell’adattamento di Carmelo Bene, è stata recentemente portata in scena al Centro Culturale Artemia, grazie a Cristina Aubry e al suo fantastico cast di attori.
In pochi sanno che le vicende del personaggio “da favola” di Collodi sono associabili ad un romanzo di formazione, un cosiddetto Bildungsroman. Anche per sottolineare questo aspetto troviamo tre attori diversi ad interpretare il protagonista: nella prima parte, dalla “nascita” all’esperienza presso il Teatro dei Burattini, è portato in scena dall’esuberante Raffaella Miscioscia (che poi sarà anche Lucignolo); quando inizia a prendere coscienza delle sue ingenue sventure, dopo l’impiccagione e il furto da parte del Gatto e la Volpe, è interpretato invece dalla graziosa Elena Lazzari; infine, quando comprende i suoi errori e vuole redimersi dall’esperienza al Paese dei Balocchi, aiutando il padre ad uscire dalla pancia del pescecane, a calcare il palco è la matura profondità di Maria Paola Risa (che veste anche i panni del Gatto).
Accompagnato dalle apprezzabilissime musiche di Flavio Scaffidi Abbate (che interpreta la Volpe), lo spettacolo aggiunge un tocco moderno alla storia: a commentare le sventure/avventure di Pinocchio ci sono due attori seduti a bordo palco che, con qualche battuta in romanesco, enfatizzano la tragi-comicità di alcune situazioni, scambiandosi dei messaggi su Whatsapp. Sono Andrea Tolli (che interpreta anche Mastro Ciliegia e Mangiafuoco) e Sara Falconi (che è anche la Fata Turchina).
La performance è molto divertente, adatta a grandi e bambini, ma ovviamente lascia spazio anche a forti momenti di riflessione: non siamo abituati a percepire la crudeltà di Pinocchio, non siamo avvezzi a vedere mastro Geppetto (qui Giovanni di Guida) come un povero vecchietto che si vende la casacca per comprare l’abecedario e viene ripagato con numerose menzogne. Quello che emerge è il menefreghismo che alcuni figli mostrano nei confronti dei propri genitori e del loro amore incondizionato, dandoli spesso per scontato. Per questo motivo una favola come quella disneyana conquista, mente la trama originale quasi scatena guizzi di rabbia, per la sua crudezza. E si rende ancora più amara, in questo caso, se commentata dalle frecciate in chat degli “spettatori” moderni. Molto interessante, infine, è il fatto che ogni attore interpreta più ruoli: non si fa in tempo ad incastrare un volto in un personaggio, che subito cambia veste per diventare qualcun altro.
E in fondo è proprio questa la storia di Pinocchio, di un pezzo di legno con l’anima che vuole diventare un bambino vero: un cammino di metamorfosi, di evoluzione, di riscatto.