“Il Gatto” di Simenon. A teatro il silenzio dell’odio e l’incapacità di amarsi

La solitudine portata sulla scena. L’odio e l’incomprensione di due coniugi che scelgono il silenzio per comunicare. Questi sono solo alcuni dei temi dello spettacolo teatrale “Il Gatto” al Piccolo Eliseo fino al prossimo 11 novembre.

“Il Gatto”, dall’omonimo romanzo di Georges Simenon, per la regia di Roberto Valerio, è uno di quegli spettacoli teatrali che lascia il segno, che cattura per la storia raccontata, per l’interpretazione degli attori in scena e per le domande che inevitabilmente pone allo spettatore.
Scritto da Simenon nell’autunno del 1966, “Il Gatto”, nel 1971, fu portato sugli schermi da Pierre Granier-Deferre con Simone Signoret e Jean Gabin, (alla sua decima e ultima interpretazione di un personaggio simenoniano), ambedue premiati al Festival di Berlino.
Una trama semplice ma al tempo stesso originalissima.

Emile e Marguerite sono due coniugi che non si rivolgono più la parola da anni.

Diversi per carattere, estrazione sociale, cultura, eppure sposi, nonostante un passato che preme come una fitta lancinante alle tempie.
Emile rimpiange la sua prima moglie morta troppo presto e così diversa dall’attuale.
Marguerite sente ancora vivo il ricordo del suo primo marito, un uomo affascinante, colto, ben differente dal rozzo Emile.
Perché lo ha sposato? Per pietà dirà!
Un’unione impossibile fatta di incomprensioni, di gusti diversi e di profondi rimpianti.

Ma la tempesta è dietro l’angolo, pronta ad esplodere.

La forzata convivenza viene devastata dalla morte del gatto di casa.
Emile, che adora quel piccolo felino, al contrario di Marguerite, è convinto che a ucciderlo sia stata l’odiata moglie.
La tregua si interrompe, lasciando il passo a una guerra spietata.
Un conflitto aperto, in cui nessuno dei due rinuncia alle strategie più diaboliche e violente pur di colpire il coniuge.
A farne le spese è un altro animale, il pappagallo di Marguerite, letteralmente spennato sull’altare del matrimonio.
Come il gatto anche l’esotico pennuto diventa il capro espiatorio di due sposi che pur odiandosi non possono alla fine fare a meno l’uno dell’altra.

Il Rubicone è stato oltrepassato. Ora per i due nulla sarà come prima.

 

Emile e Marguerite scelgono di non parlarsi più. Decidono di farsi unire solo dal silenzio, il loro miglior alleato.
Un silenzio assordante, un convitato di pietra che riempie giornate sempre uguali, la cifra malinconica della loro assurda esistenza.
Per ovviare alle necessità impellenti hanno studiato un singolare mezzo comunicativo: dei laconici biglietti.
Durante la giornata si “parlano” solo attraverso dei foglietti, il modo migliore per non lacerarsi più.
“Il Gatto”, scrive nei suoi appunti di regia Roberto Valerio «ci consegna personaggi che possiedono una caleidoscopica complessità, una vibrante vocazione teatrale; è un testo feroce che rovista tra le pieghe della mente e le incrinature del cuore dei protagonisti, descritti con uno sguardo crudo e spietato.»
Un testo amaro che, nell’adattamento teatrale di Fabio Bussotti, non solo non perde nulla della spietatezza del romanzo di Simenon ma, grazie alla bravura degli attori in scena, rende ancora più attuale il tema portante di questo folle, incomprensibile rapporto di coppia.

Un allestimento teatrale scarno che evidenzia ancor di più la solitudine dei protagonisti, il vuoto dei loro cuori.

Una perfetta prova quelle dei tre attori (Elia Schilton nella parte di Emile e Silvia Maino in quella della signora Martin) che calcano la scena per l’unico atto dello spettacolo.
Bravissima Alvia Reale, capace di dare voce alla silenziosa Marguerite, alla conturbante Nelly, (una barista che da anni soddisfa le rapide voglie di Emile) e, infine, ad Angele, la prima moglie di Emile.
Uno spettacolo che indaga i legami sottili che tengono molto spesso in piedi rapporti impossibili, nutriti solo dall’odio, l’unica, vera passione provata dai due coniugi che hanno scelto la tortura all’amore, il silenzio alla parola, il disprezzo alla comprensione.

Un odio puro, senza ombre e contaminazioni, quello che unisce Emile e Marguerite. L’unico sentimento che riescano davvero ad esprimere, novella zattera di Gericault che i due afferrano per evitare di infrangersi contro gli scogli della solitudine e della morte.
“Il Gatto”, prodotto dalla Compagnia Umberto Orsini, con scene di Francesco Ghisu, costumi di Francesca Novati, luci di Carlo Pediani e musiche di Alessandro Saviozzi, rimarrà in scena al Piccolo Eliseo fino al prossimo 11 novembre.

«Cercava la parola… Non la trovava… Non era più niente.»

Maurizio Carvigno

Nato l'8 aprile del 1974 a Roma, ha conseguito la maturità classica nel 1992 e la laurea in Lettere Moderne nel 1998 presso l'Università "La Sapienza" di Roma con 110 e lode. Ha collaborato con alcuni giornali locali e siti. Collabora con il sito www.passaggilenti.com

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