Non c’è niente di più comune, in un ospedale, di pazienti che attendono…un’operazione.
Alcuni impiegano poco tempo, soprattutto grazie a conoscenze interne. Altrettanti saltano le file, dopo un congruo accordo con l’amministrazione. Altri (tantissmi altri) no. Attendono mesi per un’operazione semplice che, dopo tutto quel tempo, si trasforma in cose più gravi. Incontrano, poi, in ospedale, persone che vivono situazioni peggiori della propria e capiscono mille altre realtà. Storie da corsia, da camice bianco, raccontate in L’Operazione in scena al Teatro Roma, diretto da Stefano Reali.
Massimo è un giovane ragazzo che decide di farsi una ricostruzione ai legamenti del ginocchio, per giocare meglio a pallone. Grazie a una ‘raccomandazione’ di un suo amico dottore, nonché assistente del primario di Ortopedia, il ragazzo riesce a entrare subito in ospedale, senza attendere molto tempo. Nella stanza con lui c’è Luigi, un uomo che da anni è allettato, impossibilitato nei movimenti delle gambe, che ne ha viste di tutti i colori. Prova a far aprire gli occhi a Massimo su cos’è veramente il mondo ospedaliero. Gli narra storie, aneddoti e segreti di coloro che sono dentro quel reparto che Luigi ormai conosce molto bene: dai pazienti, ai dottori, passando per la caposala Maria e l’infermiere Carlo.
Luigi però non sa che Massimo e il suo amico-dottore sono d’accordo. Quest’ultimo infatti vuole capire perché nella stanza di Luigi, nell’arco di un mese, ci sono state ben 22 rinunce e poi sostituzioni con personalità in lista: l’ospedale crede che Luigi, in combutta con altri dell’ospedale, si venda i posti letto. Il dottore promette all’amico un posto sicuro, a condizione che Massimo lo aiuti a capire quali sono gli intenti del paziente allettato.
Il giovane si trova così tra due fuochi: credere al ‘malato-ammaliatore’ o andare fino in fondo per un posto di lavoro? La verità sarà diversa, lontana dalle previsioni di Massimo.
L’Operazione è uno spettacolo che vide per la prima volta la scena nel 1989.
La scena non era a due atti, ma uno solo; e aveva solo tre personaggi. Nel corso degli anni ha girato l’Europa ed è stata tradotta da alcuni autori (Alan Ayckbourne per citarne uno); diventando anche un film, quale In Barca a Vela Contromano, sempre diretto da Stefano Reali. Lo spettacolo presente al Teatro Roma, in scena fino all’11 febbraio, torna nuovamente a far parlare.
Il palco questa volta è diviso da cinque attori, un gruppo che tiene bene il ritmo e le battute.
Gabriella Silvestri ci mostra una Maria amareggiata e stanca, ma comunque pronta a combattere, con uno spirito tipicamente romanesco: buona la gestione dell’espressioni del viso. Nicolas Vaporidis interpreta Massimo. È una buona spalla, ma si vede che in lui vige più il cinema che il teatro ancora: qualche movimento di spalle di troppo ce lo fa capire. Plauso invece per Marco Giustini nel ruolo del dottore. Gestisce bene la scena e la voce, ha dei movimenti ben curati e non fa un passo senza terminarlo: ha tecnica e si vede.
Veri mattatori però sono Antonio Catania nel ruolo di Luigi e Maurizio Mattioli in quello di Carlo.
Il primo è il protagonista della pièce ed è impossibile non notarlo, con i suoi non-movimenti degli arti inferiori. Le sue battute ci vengono espresse con una naturalezza di chi non sta di fronte ad un pubblico, ma invece è lì da tempo immemore: proprio come Luigi appunto. La semplice e non banale poliedricità dell’attore mette in seria discussione il pubblico su quale sia la vera natura del personaggio: conseguenza ottenuta grazie alle doti di Catania.
Mattioli gestisce una parte piccola con serena scioltezza, dovuta soprattutto al fatto che ha sempre seguito il testo e ha preso più volte parte ad alcuni rifacimenti. Si diverte e fa divertire, facendo a volte dimenticare coloro che avrebbero ruoli maggiori del suo.
L’Operazione è un testo che ha molto da raccontare, ma non per un pubblico come quello italiano.
La sua ironia non si ferma a denunciare la malasanità o il nipotismo nei ruoli di lavoro. Ci descrive una realtà e delle verità che purtroppo sono radicate nella nostra società come una serie d’infezioni che condurrebbero ad un oggettivo malessere; come un’infezione alle gambe. Bisogna fare finta di niente e permettere che ci distrugga? O combatterlo e rischiare un’amputazione? Non è facile. Specialmente se, ad applaudire, ci sono solo anziani che ridono alle parole pesanti….
Ritmo presente e attori capaci. 3 stelle e mezzo su 5.
Francesco Fario