Neri Marcorè denuncia l’ipocrisia della società moderna
Al Teatro Quirino di Roma è in scena lo spettacolo “Quello che non ho”.
Era il 1995. Giorgio Gallione, autore e regista dello spettacolo, racconta che, mentre si trovava nel foyer di un teatro a Napoli per il concerto di Fabrizio De Andrè, lesse su un giornale gli Scritti Corsari di Pier Paolo Pasolini, una raccolta di articoli usciti tra il 1973 e il 1975. Il grande scrittore, letterato e regista denunciava il cinismo e l’ipocrisia della società moderna. A tutto ciò rispondevano perfettamente le canzoni di Fabrizio De Andrè. La società moderna è una società cinica e spietata. Su tutto questo si basa “Quello che non ho“, spettacolo prodotto dal Teatro dell’Archivolto di Genova, scritto da Giulio Costa e Giorgio Gallione con la regia di Giorgio Gallione con Neri Marcorè in scena al Teatro Quirino dal 28 febbraio 2017 al 5 marzo 2017.
Essendo stato da sempre un fan di Neri Marcorè e Fabrizio De Andrè, ho deciso di recarmi la sera del 1 marzo a vedere questo spettacolo. Il sipario si apre e siamo avvolti da una scenografia curata da Guido Fiorato che crea una sorta di foresta con un grande tela trasparente davanti, quasi come una ragnatela, sinonimo di questa società che non ci lascia liberi nei suoi cliché e pregiudizi. Testimoni silenziosi sono delle sedie, che diventano amiche, nemiche ma anche confidenti.
Neri Marcorè, nella sua indiscutibile bravura, dà voce all’ipocrisia. Il ritmo della spettacolo è scanzonato, ironico ma anche di denuncia. L’artista, insieme a Guia, Pietro Guarracino e Vieri Sturlini, oltre a recitare prende la chitarra e canta le meraviglie assolute di De Andrè, come Volta la carta o Don Raffaè.
Lo spettacolo è un’analisi fredda e lucida della grottesca situazione italiana. Tra i tanti punti ve ne sono alcuni che mi hanno colpito, come il racconto di un’interrogazione parlamentare. Essa narra di una vicenda tanto assurda quanto impensabile. Nelle confezioni di Acqua Rocchetta si vendevano dei gadget con gli abitanti di Topolinia e Paperopoli. Mancava Clarabella e tutto ciò, secondo chi ha presentato l’interrogazione, ha portato la gente a diversi acquisti per poter completare la collezione.
La guerra e l’integrazione culturale, due elementi che non vogliamo ricordare
Neri Marcorè, insieme agli artisti sul palco, va avanti portando in luce il drammatico e spietato cinismo italiano e mondiale. Oggi noi siamo dominati dai cellulari e dai computer.
Per creare questi oggetti vi è bisogno di coltan, un minerale che in Congo è causa di aspri conflitti. Lo strapotere delle multinazionali sfrutta le popolazioni. Per risolvere a tali problemi, molte multinazionali hanno deciso di far scrivere sui propri oggetti che essi sono stati fabbricati in Ruanda, dove però non ci sono miniere di coltan.
Ma la sua analisi lucida e cattiva parla soprattutto d’integrazione culturale. Nel 1996 muoiono bruciati in un incendio dei bambini rom, a causa di candela caduta. I genitori vengono accusati, visto che li avevano lasciati soli per chiedere l’elemosina, e incriminati per omicidio colposo per la possibilità di reiterazione del crimine. Nello stesso anno un padre lascia il bimbo in auto sotto il sole. Il bimbo morirà. Il padre riceve una campagna di solidarietà da tutta Italia. «Ma se fosse stato rom?» ci chiede Neri.
Questo mi fa pensare molto. Siamo o non siamo tutti uguali davanti alle disgrazie? Eppure noi odiamo gli zingari. Gli zingari rubano, sono sporchi… Ma ecco che il pregiudizio si avvicina. Non possiamo farci nulla. Ormai siamo colpiti da questi giudizi. Eppure ci scordiamo che sono artigiani, lavoratori, gente che ama vivere, come dice Khorakhanè di De Andrè.
Ma allora ci dovremmo chiedere, parafrasando De Andrè e Pasolini anche (sono sicuro che l’avrebbe pensato così), perché l’italiano, ma soprattutto l’uomo moderno in genere “non riesce più a volare“? Siamo ormai troppo dominati dalle frivolezze? Penso proprio di sì.
Marco Rossi
(Foto di Bepi Caroli)