“La vedova allegra”, celeberrima operetta di Franz Lehár, è stata in cartellone nella stagione estiva del Teatro dell’Opera di Roma fino al 12 agosto scorso.
Anche “La vedova allegra” ha contribuito alla stagione estiva del Teatro dell’Opera di Roma, ormai conclusa.
Quest’anno si è dovuto rinunciare a far svolgere la stagione nel contesto tradizionale delle Terme di Caracalla. La scelta è caduta su un luogo non meno suggestivo: il Circo Massimo.
Il sovrintendente del Teatro dell’Opera di Roma Carlo Fuortes lo ha definito lo spazio ideale. Innanzitutto, è un luogo di festa e di celebrazione, tra i più grandi luoghi di spettacolo mai realizzati dall’uomo. Inoltre, le sue dimensioni hanno reso possibile realizzare una platea da mille posti e un palcoscenico da 1.500 metri quadrati. Ciò ha consentito di rispettare le norme di sicurezza per il pubblico e per gli artisti. Lo stesso non sarebbe stato possibile negli spazi delle Terme di Caracalla.
Ad aprire la stagione è stato “Rigoletto” di Giuseppe Verdi, nell’interpretazione musicale del maestro Daniele Gatti e con la regia di Damiano Michieletto. Si è trattato di una versione molto discussa, proprio per le scelte registiche che si sono dovute prendere per rispettare le regole imposte dai DPCM per evitare i contagi da Covid19.
Le regole di distanziamento fisico hanno caratterizzato anche l’allestimento de “La vedova allegra”, che si è scelto di mettere in scena in forma di concerto.
In pratica, sul palcoscenico erano presenti i musicisti dell’Orchestra e del Coro del Teatro dell’Opera di Roma, adeguatamente lontani gli uni dagli altri.
Diretti, rispettivamente, da Stefano Montanari e da Roberto Gabbiani, Maestro del coro, hanno egregiamente accompagnato i cantanti protagonisti e portato gli spettatori nel romanticismo de “La vedova allegra”.
La trama del libretto scritto da Victor Léon e Leo Stein è nota.
Siamo agli inizi del ‘900 a Parigi, in piena Belle Epoque e la bella Hanna Glawari (qui il soprano Nadja Mchantaf) è la vedova ed unica erede di un uomo ricchissimo dello piccolo Stato immaginario di Pontevedro. Il sovrano è molto preoccupato che Hanna si risposi con uno straniero, portando i capitali ereditati fuori dal Paese e facendone collassare le casse.
L’ambasciatore, il barone Mirko Zeta (Andrea Concetti) e il suo cancelliere Niegus, cercano quindi di spingere la vedova tra le braccia di un connazionale, il conte Danilo Danilovich (Markus Werba) che in passato ha interrotto una storia d’amore con Hanna su pressione della famiglia, a causa delle umili origini di lei.
Hanna ama ancora Danilo (e viceversa), tuttavia non lo vuole ammettere e cerca, anzi, di ingelosirlo.
Frattanto si intreccia la storia d’amore della moglie del barone Zeta, Valencienne (Hasmik Torosyan), con il diplomatico francese Camille de Rossillon (Juan Francisco Gatell).
“La vedova allegra” è, quindi, un’operetta divertente e piena di romanticismo. Le musiche e le romanze sono molto conosciute al grande pubblico. Ma da sole, anche quando ben eseguite come in questo caso, non bastano a rendere la grandezza di questa operetta. La sua natura, infatti, è quella di un’opera buffa, dove già la presenza dei balletti è indispensabile per una messa in scena degna.
L’allestimento, privato dei numeri di danza, dei costumi, delle parti recitate dai cantanti vicini tra loro e, oltretutto, tagliato di alcune scene, non è stato convincente.
Si è voluto sopperire agli elementi a cui si è dovuto rinunciare, installando un grande schermo su cui sono state proiettate scene di film in bianco e nero dei primi decenni del Novecento (ad es. di Charlie Chaplin) con scritte da film muto per spiegare cosa accadeva tra una scena e l’altra oppure dare immagine alle parti musicale che, normalmente, avrebbero accompagnato i balletti.
Purtroppo, questo progetto visivo di Giulia Randazzi e Giulia Bellè, per quanto carino, non è bastato a non far rimpiangere allo spettatore un adattamento classico e completo de “La vedova allegra”.
Altro difetto di questa versione in concerto dell’operetta di Lehár è l’uso del maxischermo dei sottotitoli. L’operetta è stata cantata – a mio avviso giustamente – in tedesco, lingua originale in cui fu scritto il libretto. Per aiutare chi non conoscesse bene la storia e/o la lingua tedesca, sono stati installati due schermi ai lati del palco, con i sottotitoli in italiano e in inglese. Peccato che questi schermi fossero troppo piccoli per consentire a tutto il pubblico di leggere agevolmente i sottotitoli.
Se a ciò si aggiungono i tagli effettuati alla trama, è facile immaginare che seguire l’operetta non è stato affatto facile. Ciò ha impedito di godere adeguatamente della bellissima musica e della maestria dei cantanti e dei musicisti.
Lo sforzo di creatività che il Teatro dell’Opera ha fatto per non rinunciare alla stagione estiva 2020 non può che essere apprezzato.
Tuttavia, meglio sarebbe stato abbracciare completamente la trasformazione de “La vedova allegra” in operetta in forma di concerto, lasciando la scena solo ai cantanti, all’orchestra e al coro e usando il maxischermo alle loro spalle per dei sovratitoli leggibili anche dall’ultima fila della platea.
Ce ne saremmo rallegrati tutti di più.
Stefania Fiducia
La foto di copertina è di Yasuko Kageyama ed è tratta dal profilo Facebook del Teatro dell’Opera di Roma.