Anche la pioggia è cessata sabato 10 settembre per aprire un sipario stellato sulla Fedra di Seneca.
Il palco maestoso del teatro di Ostia Antica ha inaugurato infatti la rassegna “Il Mito e il Sogno”, ospitando per prima la tragedia classica già acclamata presso il teatro di Siracusa.
Il viaggio nel tempo ha inizio: non appena si mette piede a teatro la sensazione è già quella di non trovarsi più nel nostro secolo. Quando poi entrano gli attori in scena è subito magia: quel passato lontano, impregnato di mito e dominato dagli dèi conquista il pubblico attento.
E’ la storia di Fedra, che Seneca rielabora dall’Ippolito di Euripide. Una trama che ha sedotto palchi lontani, ma che ancora oggi rivela attuali malesseri dell’essere umano. In scena il protagonista invisibile è Eros. Ogni spettatore può riconoscersi nelle parole accorate di Fedra (Imma Villa), travolta da una sconvolgente passione per il figliastro Ippolito (Fausto Russo Alesi).
Come spesso accade in amore, c’è un tempo per il languore e uno per le menzogne: Fedra, respinta da Ippolito, mente al marito Teseo (interpretato sempre da Alesi) e finge di essere stata stuprata. In questo modo il re di Atene maledice a morte il proprio figlio per punirlo di un’insolenza che non ha commesso.
Di fronte a questo ingiusto delitto Fedra non può più continuare a mentire: confessa la sua tragedia emotiva per poi togliersi la vita. A terra troviamo il suo cadavere, le membra sparse di Ippolito, e l’animo distrutto di Teseo.
Secondo la matrice senecana molto risalto nel finale viene dato ai dettagli più truculenti. Insieme ad essi, il dono dello spettacolo al pubblico è un’atmosfera ancestrale, che poche messe in scena moderne possono vantare quando riproducono le opere classiche.
Il cast non delude, convincenti in scena anche la Nutrice, Bruna Rossi, e il Messaggero, Sergio Mancinelli. La scenografia è minimale ma efficace: la cornice del teatro fa il resto, insieme alla suggestiva presenza del coro, che si esibisce in danze e assoli, omaggiando la matrice greca. Notevoli i costumi e le luci, quest’ultime spesso corroborate da romantiche fiaccole. Un valore aggiunto lo hanno fornito, infine, le struggenti musiche.
Sicuramente non è uno spettacolo di facilissima fruizione: i dialoghi sono ricchi e per chi non è avvezzo può risultare un po’ arduo capire tutto a fondo. Mi permetto di dire, però, che a volte non è necessario avere una comprensione totale di ciò che si osserva a teatro. Il messaggio, quello semplice che si cela sempre dietro le complesse strutture drammaturgiche dell’antichità, si evince con un po’ di attenzione: il tempo fugge, ma alcuni gradoni sono ancora pronti ad ospitare orecchie interessate alla lezione degli avi, quella che ancora oggi sa “insegnare” determinate emozioni. Nel recepirla, la consapevolezza che sopraggiunge suggerisce che, qualche migliaio di anni fa, le emozioni a noi note le ha provate anche qualcun altro, a prescindere dal contesto, dalla geografia e dall’epoca. E allora, forse, si svela anche il potere dello spettacolo dal vivo: quello di farci sentire meno soli.
Alessia Pizzi
Foto di Massimiliano Fusco