“La cucina”, una commedia da non perdere assolutamente, resterà in scena al Teatro Eliseo di Roma fino al 20 maggio 2018.
La commedia “La cucina” è stata rappresentata per la prima volta nel 1957, quando il suo autore Arnold Wesker aveva solo venticinque anni. Ad oggi, resta forse l’opera più famosa del drammaturgo londinese.
L’adattamento attualmente in scena al Teatro Eliseo di Roma fino al 20 maggio 2018 è prodotto dal Teatro Stabile di Genova e ha esordito nell’ottobre 2016.
Ha subito ottenuto un grande successo di critica e pubblico e non possiamo che essere d’accordo con chi l’ha apprezzato.
Il cast de “La cucina” è composto da ventiquattro bravissimi attori provenienti dalla Scuola di Recitazione dello Stabile, così come il regista Valerio Binasco.
Una bellissima scenografia attira lo spettatore prima ancora che si sieda in sala, visto che il sipario è già alzato. Guido Fiorato ha, infatti, installato la cucina di un ristorante inglese nel secondo dopoguerra. L’ambiente sembra fatiscente, soprattutto all’esterno.
I dialoghi sono un coacervo di accenti. Ne “La cucina”, infatti, Weskner ha voluto rappresentare l’Europa della seconda parte del ‘900.
Ma è una pièce talmente attuale che vale a rappresentare tutto il mondo e sembra essere scritta ai giorni nostri. Infatti, mostra da vicino la violenza che può nascere dalla convivenza forzata di persone straniere.
Secondo Valerio Binasco “Wesker rappresenta la cucina come un mondo disumanizzante, perché il suo primo obiettivo era la denuncia sociale sulle condizioni di lavoro. Per lui, che voleva affermarsi come ‘poeta del popolo’, la cucina è un brutto posto, è la metafora della fabbrica”.
Binasco, invece, mettendo in scena “La cucina” nella versione italiana di Alessandra Serra, è partito da un assunto diverso.
La cucina di un ristorante, per Binasco, non è un brutto posto e le persone che lavorano lì rappresentano l’intera umanità.
La cucina, quindi, diventa una metafora della vita sociale. Ma è anche un posto dove si può vedere il lavoro di squadra.
Di vita ce n’è tanta su questo palcoscenico. Si inizia a ballare al suono di una radio costruita dal nulla da uno sguattero russo. Camerieri e cuochi intrecciano tresche più o meno segrete. Vivono amori malati, distruttivi e autodistruttivi, che dovrebbero essere rifugi, invece sono prigioni.
Ad un certo punto si parla, addirittura, di sogni e ci si rende conto che al mondo c’è pure chi non è capace di sognare seriamente, cioè in grande.
“La cucina”, però, è anche un luogo di tensioni, alcune palesi, altre sottese, pronte ad esplodere con conseguenze tragiche. D’altronde è la rappresentazione di una società multietnica in cui le differenze possono diventare motivo di incontro e di scontro.
Parliamo di un luogo frenetico – come la società contemporanea – in cui non ci si può fermare neanche se un collega si infortuna mentre lavora, in cui il lavoro non è valorizzato.
Non c’è posto per la qualità, nella cucina di questo ristorante da 2000 coperti, “solo offerta, solo soldi”.
“La cucina” è pure un ambiente misogino, dove non mancano violenze sulle compagne e giudizi impietosi sulle colleghe.
Ma la metafora della cucina è anche la prova dell’inesauribile capacità di adattamento dell’essere umano ad ogni condizione di vita e di lavoro.
Eppure “La cucina” è un spettacolo bellissimo, suscita un entusiasmo che ci accompagna fuori dal teatro.
Il cast si dimostra perfettamente all’altezza di una scena caotica e movimentata. Gli attori si muovono freneticamente, senza minimamente intralciarsi. Sembra di assistere ad una puntuale coreografia, tanto ogni gesto è studiato, coordinato con quelli degli altri. Sono molto suggestive le scene in cui si muovono al rallentatore.
Le interpretazioni si amalgamano benissimo tra loro. Il risultato è un lavoro corale riuscitissimo che diverte, emoziona, commuove.
Si immagina quanto faticosa sia stata la regia di questa pièce. Per questo il lavoro di Valerio Binasco è ancora più degno di plauso e ammirazione.
In alcuni punti, lo spettacolo appare quasi ripetitivo. Ma, in fondo, non lo sono certe volte anche la vita, la società, la Storia che in fondo “La cucina” vuole raccontare?
Binasco e la Compagnia del Teatro Stabile di Genova, in effetti, sono riusciti a catturare l’idea della cucina come un luogo di notevole, seppure involontaria, bellezza, e a mandare con il Teatro “un messaggio di pace”.
Nel finale c’è un abbraccio che non ci si aspetta. Quello è il messaggio di pace più convincente.
Stefania Fiducia