Gli Oblivion, il Sistina e il loro jukebox umano
Il teatro cabarettistico è una forma d’arte molto difficile da mettere in pratica oggi.
Molti si arrovellano, ci provano, riuscendo a creare delle pallide imitazioni o delle patetiche creazioni che si auto-definiscono ‘brillanti’. Altri invece usano quel tocco di originalità, quello sguardo un po’ satirico, la giusta dose di talento e una buona armonia nel gruppo di lavoro, mettendo in scena degli Spettacoli, degni di stare a teatro e meritarsi il giusto applauso di un pubblico soddisfatto (e non assecondante). Gli Oblivion appartengono a questa seconda categoria. Al Teatro Sistina di Roma fino al 15 maggio, il celebre quintetto, reso celebre da YouTube e mai tramontato, porta in scena la sua ultima creazione, The Human Jukebox.
Preparare qualche sketch e il resto lo fa il caso, tramite l’estrazione da un sacchetto di bigliettini, su cui il pubblico ha scritto nomi di cantanti o gruppi preferiti (italiani o stranieri non fa differenza): è questo lo schema utilizzato dal quintetto in questo spettacolo. Seguendo improvvisazioni che vanno dall’imitazione di un cantante e il suo stile, proponendo combinazioni dello stile di un cantante e le parole delle canzoni di un altro o imitando parola per parola una canzone, gli Oblivion riescono a rendere omaggio a tutto il panorama musicale, senza perdere di vista la satira, il ritmo e il coinvolgimento del pubblico. Ogni sera qualcosa di diverso, un cantante che la sera precedente non è stato omaggiato, poiché non estratto o non scritto da nessuno: un ingrediente che rende il tutto molto originale.
Martedì 10 febbraio, dopo una ‘cazzottissima’ (sketch dove quattro cantano una canzone e un altro dà un pugno su un piano: gli altri cambiano strofa della canzone, come succedeva con i vecchi vinili, dando al testo un significato diverso ed esilarante) de Il cielo di Renato Zero, il pubblico ha visto Davide Calabrese in un’esilarante mimica di Non me lo so spiegare di Tiziano Ferro, una divertente parodia di Alex Britti di Lorenzo Scuda, un Caruso all’Elio di Fabio Vagnarelli e un bellissimo Nel blu dipinto di blu di Graziana Borciana e Clara Maselli (in sostituzione di Francesca Folloni, assente per maternità), che si dividono la canzone rispettivamente in vocali e consonanti.
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Fonte: rampower.it |
Quando un gruppo entra nel cartellone del Teatro Sistina di Roma, può vantarsi di essere entrato in una sorta di ‘Olimpo’. Molti attori e artisti di spettacolo hanno mostrato qui il loro talento: Bice Valori, Paolo Panelli, Il Quartetto Cetra, Enrico Montesano, Renato Rascel, Domenico Modugno, Gino Bramieri solo per citarne alcuni. Un privilegio, quindi, e una responsabilità che viene concessa a pochi che fondono, in uno spettacolo, musica e teatro. Gli Oblivion però sono professionisti. Non hanno paura dei volti grigi un po’ attempati, dall’aria snob che hanno l’abbonamento a quel celebre teatro: coinvolgono anche un’anziana signora che applaude al ritmo di un ‘Gioca jouer‘ a tema Caparezza, pur non sapendo minimamente chi questo sia. Hanno una preparazione alle spalle, vera, accademica, unita ad una comicità intelligente e mai volgare.
Quello che spaventa, di questo quintetto che non è per la prima volta a Roma, è la profonda conoscenza della musica. Il loro repertorio è così vasto, il loro legame è così forte, che non hanno paura del minimo imprevisto che può arrivare dal pubblico. Ogni applauso è meritato, ogni risata giustificata, fino a far affermare al pubblico: “Che peccato non poter venire domani: chissà cosa faranno di diverso e quanto ci perderemo”.
Francesco Fario