“Filumena Marturano”, il dramma di una madre e di una donna
“E figlie so’ ffiglie!”
Scritta nel 1946, tra le più note e rappresentante, in Italia e nel mondo, la commedia di Eduardo De Filippo non ha bisogno di presentazioni. Come egli stesso disse nel prologo della trasposizione televisiva del 1962: “La storia è conosciuta da quanto fu padrona sulla scena. Per ricordarla? Basta Filumena. Per la morale, basta una battuta“. Una storia che ha ispirato personaggi e film, come Matrimonio all’italiana di Vittorio De Sica; e che ha visto in scena celebri attrici, come la sorella dell’autore (per la quale scrisse originariamente il testo) Titina De Filippo, Regina Bianchi, Isa Danieli, Lina Sastri e Mariangela Melato. Il Teatro Quirino, quest’anno, ha visto nuovamente la commedia in scena, diretta da Liliana Cavani, con Geppy Gleijeses nel ruolo di Domenico e Mariangela D’Abbraccio nei panni di Filumena.
Soffermarsi sulla trama sarebbe superfluo. Si toglierebbe poesia e drammaticità a momenti e battute che solo le capacità sceniche degli attori possono donare. E’ giusto invece soffermarsi sullo spettacolo in questione. La regista, al contrario di quanto detto da molti, è fedelissima al copione originale: gli dà qualche tocco personale, che non guasta. Si capisce subito dall’uso della scenografia.
Come si apre il sipario, ci troviamo in una stanza da letto (e non nel salotto come vorrebbe l’autore). Un bellissimo armadio, con tanto di arredamento dentro (come il buon Visconti avrebbe voluto), un letto, una macchina da cucire di un tempo, una cassapanca, un paravento e un tavolo con un ferro da stiro (ovviamente a carbone), ricoperto da e tante, tante lenzuola, pezze, tovaglie, rigorosamente bianche e ricamate.Qui Filumena si sfogherà davanti a Domenico, la fedele Rosalia e Alfredo, il tirapiedi di lui; e qui farà il celebre monologo del voto alla Madonna delle Rose.
L’arrivo di Diana e del pranzo ci porta invece nel salotto, vera ambientazione dello spettacolo, che non cambierà più. La scena ormai sarà un grande atto unico, non divisa in tre come vorrebbe Eduardo. Qui vedremo cambi in scena a luci spente, l’arrivo dei tre figli, la confessione a Domenico e…le conseguenze del terzo atto.
Lo spettacolo si dimostra all’altezza anche, e soprattutto, dagli attori.
Mimmo Mignemi è un buon Alfredo, che preferisce il dialetto siculo a quello napoletano; mentre Nunzia Schiano è una Rosalia perfetta: il suo tocco è evidente mentre cammina, che parla da sola, come molte donne anziane. I tre figli (Agostino Pannone/Umberto, Gregorio De Paola/Riccardo, Eduardo Scarpetta/Michele) hanno ritmo, esperienza e capacità: la scena della ‘prova del canto’ non è facile, si sa, ma loro riescono alla perfezione, tanto da far ridere il pubblico.
Geppy Gleijeses prende un meritatissimo applauso nel ruolo che fu dell’autore. Ci mostra bene l’evoluzione dell’ uomo che non vuole accettare la sua età e quanto Filumena sia importante per lui. L’uomo che comincia con lo spirito della risata “che non è vera (…) ed è sempre la stessa, chiunque la fa“, fino a dare ragione alla “malafemmina“.
Gleijeses, che a tratti nella parte ricorda un po’ Antonio Casagrande e un po’ Marcello Mastroianni (specie quando scruta i tre ragazzi per cercare se stesso), dona a Domenico quel tocco maturo che non tutti sono riusciti a dare. Mentre molti lo interpretano a disagio durante i preparativi del matrimonio, lui si dimostra ormai rassegnato e forte. Significativa la scena degli occhiali, non presente nello spettacolo: per vedere meglio i bigliettini sui fiori, Domenico tenta di leggerli ad occhi nudi, poi, dopo mille prove, si rassegna alle lenti
Una commovente e meritata ‘standing-ovation’ invece va a Mariangela D’Abbraccio.
Non è la prima volta che interpreta il testo di Eduardo e si vede. Gestisce bene il personaggio: la tiene per mano e le dà la forza, la potenza e la pazienza che Filumena possiede. E’ femminile e sensuale nei confronti di Domenico (i suoi occhi ci spiegano tutto). Se Titina, però, era arrabbiata, la Melato rancorosa e la Bianchi delusa dalla vita, la D’Abbraccio ci mostra una Filumena materna. Il sorriso che dà a Michele quando questo parla dei suoi bambini è degno di una madre e di una nonna che vorrebbe stringerli, come non ha fatto con i suoi.
Ciò che mostra al meglio questo lato è un gesto. Quando parla a Domenico dei figli, spesso si tocca la parte alta del petto. Lì è situato il medaglione con la banconota, custode di quel materno segreto. Filumena cerca da lì la forza per proseguire, come probabilmente ha fatto per tutti gli anni passati.
Lo spettacolo, per concludere, merita 5 stelle su 5. Non esce di una virgola e dimostra quanto il Teatro non tramonti mai e quanto uno spettacolo, come Filumena Marturano, sia, anche oggi, un testo che debba insegnare ancora molto.
Francesco Fario