“…e invidieranno di non aver combattuto con noi il giorno di S.Crispino”
Con questa frase si conclude uno dei monologhi più celebri della storia del teatro: un monologo incalzante, potente e dal forte spirito patriottico. A dirla è il monarca inglese Enrico V, protagonista dell’omonimo testo teatrale composto da William Shakespeare all’imbrunire del XV secolo.
Il bardo inglese, nel suo testo, ci narra la Storia, dandogli un tocco in più. Si comincia con il re britannico, meglio dire gallese, che decide d’intraprendere la sua campagna militare contro la Francia di Carlo VI; combatte una battaglia dove il suo schieramento è in netta minoranza; vince e, per suggellare una breve pace, si sposa con la figlia di Carlo, Caterina di Valois.
Il testo è stato eseguito da molte compagnie e, in seguito, anche da molti registi cinematografici. Laurence Olivier, ad esempio, nel ’37 portò il dramma nei palchi di Londra e, dieci anni dopo, ne fece un film: pellicola che gli valse il primo Oscar alla carriera.
Daniele Pecci si è prodigato in un suo riadattamento dell’opera shakespeariana, gestendo sia la regia che il ruolo del protagonista, portandolo in scena al Globe Theatre di Roma.
Quando si va a teatro e si vede la regia e l’interpretazione di un volto noto, soprattutto, per sceneggiati televisivi, per quanto lo si neghi, spesso ci si lascia andare ai primi istinti. Lo si può negare quanto si vuole, ma la critica è carica di pregiudizi. Mi è già capitato di vedere, in seguito stroncare, un classico ri-adattato da un noto attore televisivo.
Sono lieto di dire che con Pecci non è andata così.
E’ giusto dire che ci sono riadattamenti….e riadattamenti. Si può usare questo termine quando non si svilisce il senso primario del testo, né dissacrandone lo spirito, l’ambientazione: si usa per esigenze sceniche e/o attoriali.
Il regista romano ci fa capire subito quali sono le sue intenzioni e mostra a chi non lo sa che non è alle sue prime armi in materia.
Il coro, in genere per definizione lasciato ad un numero non definito di interpreti, viene gestito da una sola voce narrante che, in scena e vestito ai giorni nostri, ci spiega che vedremo una rappresentazione un po’ diversa, in cui dovremo usare l’immaginazione: per un soldato, immaginarne cento ad esempio. La perla nascosta è un’altra. Il ‘coro’ è Carlo Valli, storico doppiatore: per chi non abbia idea di chi sia, è la voce del compianto Robin Williams. Una sola voce quindi, che, però, vale per cento! Tecnica già usata nel palco (come anche nei film) ma sempre efficace.
Seguendo questo schema, ci mostra un testo che da cinque atti diventa di due, senza però saltare niente di importante. Gli attori sono solo 20: quando uno muore o scompare, lo si può rivedere “riciclato”, nascosto tra i soldati incappucciati. I costumi di Susanna Proietti sono splendidi, ma questo è inutile dirlo. Riguardo la scenografia, invece, come in altri spettacoli del Globe, delle tende bianche ci trasformano il palco in una sala del trono, in una vela e in mille altri luoghi. Ben gestito anche l’uso delle luci: piacevole l’alba della battaglia…
Importante e ben gestita è “l’impossibile scenico” di questo testo, cioè la battaglia di Azincourt.
Come portare cavallerie intere su un palco? Come gestire miliardi di comparse di due armate? In che modo mostrare la cruenza di una battaglia?
Pecci si lascia ispirare sempre dall’utilizzo delle tende bianche. Gli attori si muovono a rallentatore in una battaglia tra gli schieramenti; coperti dalle citate come da un sipario: A fare la differenza anche qui è la luce: al centro del ‘sipario’ una luce rossa riflette quando accade e, attraverso le ombre, ci sembra davvero di essere in quella sanguinosa guerra medievale.
Niente da dire anche al Pecci-attore. Nella scene finali, nella corte a Caterina, vediamo il Pecci televisivo; ma nella sua austerità di corte è molto a suo agio. Applaudito il monologo del ‘voto della notte’ prima della battaglia, in cui affida a Dio il destino di quanto accadrà; e applaudito a scena aperta il coinvolgente, già citato, ‘monologo di San Crispino’.
Concludo affermando che questa rappresentazione è stata, a tutti gli effetti, l’Azincourt di Daniele Pecci. 4 stelle su 5, meritate.
Anche io appartenevo a quello schieramento di prevenuti in questo spettacolo e, come i francesi contro Enrico V, ho perso sottovalutando chi avevo di fronte. Devo anche ringraziarlo: ero convinto di vedere qualcosa di diverso, ma ho visto uno Spettacolo.
Francesco Fario