Elisabetta De Wied: una donna speciale al Teatro India
Il 3 e 4 dicembre 2016 è andato in scena al Teatro India un bellissimo spettacolo su Elisabetta De Wied, regina e scrittrice conosciuta come Carmen Sylva.
La storia non finisce mai di stupirci. Con lo studio e con la voglia di conoscere si incontrano sempre personaggi diversi, complessi ed affascinanti allo stesso tempo. Ed è questa la sensazione che ho provato il 4 dicembre 2016 al Teatro India durante lo spettacolo Elisabetta De Wied: sotto falso nome, con testo, allestimento, luci e regia di Maria Inversi.
La scena era molto sobria: quattro sedie, un faro che creava un fascio luminoso e un’altra luce dietro per la coprotagonista. Ma il personaggio centrale era Elisabetta De Wied, regina consorte di Romania e scrittrice nota con lo pseudonimo di Carmen Sylva.
Le quattro sedie rappresentavano le fasi principali della sua vita, legati dal sottile fascio luminoso del faro, simbolo di quel filo invisibile che è la nostra vita. Elisabetta non è stata una donna qualsiasi. Appassionata, sognatrice, amante dell’arte, era una donna che ancora oggi possiamo considerare a tutto tondo, secondo le parole della stessa regista, “modernissima“.
Sposatacon CarloI di Romaniadi Hohenzollern-Sigmaringen, Elisabetta visse a cavallo tra il XIX e XX secolo, un periodo di transizione molto importante. Era considerata “comunista” per questa sua vicinanza al popolo, al sociale; ella apriva il suo palazzo a grandi artisti, come il compositore romeno George Enescu.
Ovviamente la sua condotta non era ritenuta degna di una regina. Un fatto che creò grave scandalo fu quello che riguardò Elena Vacarescu, poetessa e damigella d’onore della regina, che voleva sposare Ferdinando I di Romania, nipote di Carlo ed erede al trono: questo sposalizio, tra un membro di una dinastia straniera ed una donna romena, era vietato dalla Costituzione del 1866.
Partendo da una testimonianza di un passaggio in Piemonte, Maria Inversi crea un viaggio in Italia, di cui non vi è traccia di Elisabetta con Elena Vacarescu per concedersi, secondo le parola di Maria Inversi, “una fuga da Carlo“. Per la regista, Elisabetta passa in alcuni dei principali centri italiani ma anche a Ronciglione (dove si dovrebbe tenere lo spettacolo), a Vieste (un omaggio alle originipugliesi della regista), sempre spinta dalla voglia di conoscere.
Il bellissimo ritratto che ce ne dà Maria Inversi con la formidabile interpretazione della danzatrice e attrice Valeria Mafera (fenomenale sia nella recitazione che nei movimenti scenici) e con l’aiuto di Tatiana Ciobanu, poetessa moldava che ha tradotto alcune poesie di Carmen Sylva, alias Elisabetta di Wied, è anche quello di una donna sofferente, di una donna che vuole amare. Ebbe una sola figlia, Maria, morta a pochi anni di età, ed ebbe altri diciotto aborti.
È una donna che ha vissuto il suo mondo contemporaneo ma ha guardato sempre avanti. Dietro il personaggio principale, agiva sul palco una figura inquietante, l’anima, l’alter ego della regina, che discuteva con la stessa in lingue straniere come il francese (a ricordo del fatto che la regina era in polemica con le femministe francesi) e alternava canto a vocalizzi, “come sua voce interiore che copre circa due secoli“. La voce della bravissima Virginia Guidi sottolineava tutti gli aspetti dell’anima della sfortunata regina: l’amore era rievocato da brani come Voi che sapete, l’aria di Cherubino da Le Nozze di Figaro di Mozart; il mare, simbolo del Mar Nero dove la regina trovava la sua calma, era rievocato da La Mer di Charles Trenet e di tanti altri compositori come Gioacchino Rossini, Robert Schuman; e la canzone Io canterò politico di Bruno Lauzi, nella quale Virginia Guidi si è dimostrata anche ottima chitarrista.
Se posso fare un paragone, magari anche inutile, pensavo, quando guardavo questo spettacolo, a un’altra grande figura di donna: la regina Cristina di Svezia. Sono donne a cui dobbiamo tanto ma, a Elisabetta De Wied, abbiamo anche chiesto tanto.
Grazie a tutti di averci fatto conoscere una storia ai più incognita.
Marco Rossi
(Foto di Carlo Christian Spano)