In scena per il DOIT Festival “Alfredino. L’Italia in fondo a un pozzo”, sulla storia di Alfredino Rampi di e con Fabio Banfo e la regia di Serena Piazza.
Ci sono storie che non finiranno mai di emozionarci, che ci terrorizzano, che ci fanno pensare “se dovesse succedere a noi cosa faremmo”. Una di queste storie è la storia di Alfredino Rampi, il bambino che il 10 giugno 1981 cadde in un pozzo artesiano nella zona di Vermicino. Questa storia è stata raccontata in maniera straordinaria da “Alfredino. L’Italia in fondo a un pozzo“, di e con Fabio Banfo e la regia di Serena Piazza, in scena per il DOIT Festival all’Ar.ma Teatro il 30 e 31 marzo 2017, della lombarda Compagnia Effetto Morgana.
Il piccolo Alfredino Rampi
Era una sera qualunque. Probabilmente faceva caldo, non lo so. Il sole stava calando, le mosche e le zanzare giravano. Il piccolo Alfredino Rampi, di soli 6 anni, stava passeggiando con papà Ferdinando, dipendente ACEA. Dovevano tornare nella loro casa, a Vermicino. Alfredino Rampi chiede al padre di passare per una scorciatoia. Un percorso che lui ha fatto mille volte, ma quella volta sarà tragica. I genitori si preoccupano, non vedendolo tornare. La nonna subito pensa a quel maledetto pozzo artesiano, un pozzo abusivo di una casa in costruzione, anch’essa abusiva. Lo trovano coperto con delle pietre, e quindi si vanno a controllare da altre parti. Solo verso la mezzanotte il brigadiere Giorgio Serranti, insospettitosi, scopre che quel buco era diventato la trappola mortale del piccolo. Alfredino era lì, a 36 metri di profondità in un pozzo largo circa 30 centimetri.
Una tragica vicenda
Inizia un disperato tentativo di salvataggio. Dall’arrivo del presidente Sandro Pertini ci sarà una diretta televisiva. Quel pozzo di Vermicino, a sud di Roma, diventerà il centro dell’Italia. Arriveranno lì circa 10.000 persone, bloccando e ritardando i soccorsi. Addirittura, non volendolo, tutte queste persone hanno buttato terra nel pozzo. Tutti i tentativi attuati per salvare il piccolo saranno vani. Viene calata una tavoletta per potersi appoggiare, ma le fragili corde di canapa non reggono e le tavoletta si stacca. In quel momento, a comandare il gruppo dei vigili del fuoco vi è il comandante Elveno Pastorelli. Egli sente tutto il peso della situazione. Non ha il tempo di pensare, deve solo agire. Prendono allora una trivella per scavare un secondo pozzo, per arrivare da sotto. Ma lo strato di roccia molto dura non permette di arrivare fino in fondo. Se si fossero consultati gli speleologi, capitanati da Tullio Bernabei, presenti lì, forse il risultato sarebbe stato un altro. Ma erano, per l’epoca, “capelloni”.
Viene scavato un canale tra il secondo pozzo e il canale di Alfredino, per poterci passare. Ma i movimenti scatenati dalla trivella hanno fatto cadere Alfredino per ulteriori 30 metri. La gente allora decide di partecipare attivamente. Due volontari con qualche esperienza, Angelo Licheri e Donato Caruso, si calano nel pozzo ma non riescono a tirarlo. Alfredino viene dichiarato morto. È il 13 giugno. Alfredino Rampi ha passato, inghiottito dalla terra, 60 ore circa. Viene calato nel pozzo dell’azoto liquido per mantenere il corpo. Alfredino Rampi sarà portato via l’11 luglio. La trivella della squadra di minatori ha impiegato un giorno per arrivare fino al corpo. Da questa storia è nata la Protezione Civile, perché sicuramente se i vigili del fuoco fossero stati preparati tecnologicamente forse la vicenda avrebbe avuto un altro esito.
La nostra Italia
Lo spettacolo del DOIT Festival è stato magistrale. Una scenografia sobria ma semplice: due sedie, delle cuffie da radiocronista, un microfono e vari oggetti. Il testo e la bravura di scrittore e attore di Fabio Banfo, il quale si è ispirato al testo “Vermicino. L’Italia nel pozzo” di Massimo Gamba. Noi del pubblico eravamo, la sera del 30 marzo 2017, Alfredino Rampi. Pensavamo come Alfredino Rampi.
Questo spettacolo era anche il riflesso dell’Italia che cambiava. La vicenda di Alfredino è stata la prima diretta televisiva di un fatto di cronaca (e da qui è nata la tv del dolore). I giornalisti chiedevano in televisioni di donare alla squadra di Vermicino delle trivelle. Nello spettacolo non vi erano accuse contro i partecipanti (però se solo si fossero ascoltati di più quei speleologi capelloni) ma ha messo bene in luce l’ipocrisia che si creata attorno a quel povero bimbo. Stiamo parlando di dibattiti politici, di quella perversa curiosità macabra che si scatena nelle persone. Persone ignare ma di buon cuore davano dei consigli assurdi. C’è chi consigliava di far scendere delle scimmie nel pozzo, chi di buttare dei palloncini sgonfi per farlo sollevare, chi addirittura pensava di doverlo far scivolare nella falda acquifera per andarlo a riprendere nelle Marche. Ma lo spettacolo ha messo perfettamente in luce la speranza di Alfredino, con l’innocenza pura di un bambino.
Lo spettacolo magistrale di Fabio Banfo e Serena Piazza è la storia dell’Italia che cambia, in meglio e in peggio. Avete ancora tempo questa sera per vederlo.
Marco Rossi
(Foto di Marco Rossi)