Al teatro Ghione Giro di vite di Henry James per uno spettacolo da brividi

In Giro di vite tutto viene opportunamente lasciato sospeso. La stessa presenza dei fantasmi alla fine non è certa, perché gli incubi peggiori sono quelli mai davvero spiegati. L’ambiguità del capolavoro di Henry James rivive sul palco del teatro Ghione, in uno spettacolo da brividi.

 

Su una panchina spersa in un parco londinese, in una fredda serata a due giorni dal Natale, due donne si incontrano. Ha inizio così una rarefatta trama fatta di misteri, spettri, storie maledette, silenzi, segreti, verità nascoste e sordidi rumori.

Al Teatro Ghione, fino al 9 dicembre, va in scena Giro di vite, adattamento teatrale di Giancarlo Marinelli, che firma anche la regia, di una delle opere più controverse e straordinarie di Henry James.

Scritto nel 1898 e uscito a puntate sul  Collier’s WeeklyI, Giro di vite, titolo originale The Turn of the Screw, fin da subito fu uno straordinario successo.

Gli americani amavano le storie di fantasmi, specie quelle raccontate intorno al focolare nelle fredde serate invernali, quando mani ghiacciate graffiano finestre serrate e il gelo ulula tristi presagi.

James regalò ai suoi lettori una storia infarcita di tutti gli ingredienti per risultare assolutamente perfetta.

Nel racconto dello scrittore americano, celebre anche per Ritratto di signora, la paura si annida in una grande casa isolata, negli occhi di due bambini, nei segreti delle loro istitutrice, nei brividi che corrono veloci su pavimenti ghiacciati.

Cosa è realmente accaduto a Bly, la dimora vittoriana immersa nella brumosa vallata dell’Essex?

Chi è esattamente Peter Quint, inafferrabile figura che semina attimi di puro terrore?

Cosa atterrisce due innocenti bambini? Quali segreti si celano nelle pagine di un vecchio diario chiuso in una cassetta di ferro?

Trasferire le emozioni, perfettamente descritte da James, dalla carta al palcoscenico non era un’impresa semplice ma Giancarlo Marinelli ci è riuscito.

Il suo Giro di vite, come la novella dello scrittore americano, atterrisce.

Il testo teatrale aderisce perfettamente alla trama del racconto di James che, fin dallo stesso titolo dall’ambivalente significato, risulta efficacemente ambigua.

Nessuna eccessiva licenza da parte del regista, che ha il coraggio di trasferire intatte le atmosfere descritte da James, portando sul palco del Ghione tutta la complessità del testo letterario.

Unica eccezione la scelta di cambiare l’io narrante.

A raccontare la storia, infatti, non è Douglas, come nel romanzo, ma direttamente l’inquietante Mrs. Grose.

Sarà la tetragona governante, interpretata dalla bravissima Cristina Chinaglia, a scandire i tempi della storia, a bilanciare i ritmi del racconto.

Come in una giornata di nebbia all’inizio non si percepisce quasi nulla e lo spettatore si muove in una fitta boscaglia di sole ombre.

Si scorgono a malapena i contorni lontani di pochi oggetti. Poi, però, il racconto si catalizza, assumendo forma, sostanza e mistero e il terrore squarcia i veli di un’apparente normalità.

Lentamente la bruma svanisce e agghiaccianti appaiono i profili di segreti mai del tutto rimossi.

A rendere incalzante la resa del testo di James, oltre alla lettura del regista, c’è l’originale scenografia di Fabiana Di Marco che, con pochi oggetti, sapientemente distribuiti sul palco e con l’efficace ricorso alla tecnologia, (bellissimi certi sfondi virtuali), rende il tutto più misterioso e sfuggente in una dimensione quasi claustrofobica.

Impossibile non sottolineare la prova di tutti gli attori che calcano la scena, a cominciare dai due bambini che interpretano Flora e Miles, Giordano Ciogli e Benedetta Rebechesu, bravissimi studenti della scuola teatrale del Ghione.

Poi, naturalmente, Romina Mondello, superba nell’interpretare le due istitutrici, Mrs. Jessel, dalla voce terrificante e la giovane Mrs Giddens, che entra nella grande casa di Bly ignara di quello le accadrà.

La ragazza, infatti, al pari della defunta Mrs. Jessel, sottoscrive un sordido patto con lo zio dei due bambini, con il quale intreccia una rapporto ambiguo e alla fine devastante.

Una figura sfuggente, quella dello zio, ma assolutamente centrale, a cui presta volto e voce, il bravissimo Fabio Sartor.

Giro di vite di Giancarlo Martinelli è la dimostrazione di quanto il teatro sia un’esperienza ogni volta unica. Nella sala nel corso dei due atti i brividi corrono sulla schiena di ogni spettatore fra fantasmi, terribili segreti e gelide atmosfere che si cristallizzano nella grande e isolata casa immersa nella brughiera.

Tutti gli spettatori, nessuno escluso, sono intorno al focolare ad ascoltare i capitoli dell’agghiacciante storia raccontata da Mrs Grose.

Menzione speciale per Teresa Acone che con i suoi bellissimi costumi ricrea perfettamente il clima narrato da James e la magia diventa assoluta.

Oscar Wilde a proposito di Giro di vite, disse:

«Penso che sia una piccola storia meravigliosa, lurida e velenosa, come una tragedia elisabettiana.»

 

Maurizio Carvigno

Nato l'8 aprile del 1974 a Roma, ha conseguito la maturità classica nel 1992 e la laurea in Lettere Moderne nel 1998 presso l'Università "La Sapienza" di Roma con 110 e lode. Ha collaborato con alcuni giornali locali e siti. Collabora con il sito www.passaggilenti.com

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