Qualche giorno fa uno dei miei eroi personali, Piero Angela, si è espresso su chi durante questa pandemia non sta ottemperando all’utilizzo delle mascherine definendolo un untore.
Ahimè stigmatizzare i comportamenti, non li ha mai fatti cessare e in tal senso occorre comprendere cosa stia alla base del comportamento che vorremmo eliminare o correggere. In tal senso i lavori di Robert Cialdini sulla compliance, sebbene datati, ci offrono un ottimo spunto di riflessione.
Punire chi non indossa la mascherina serve?
Direi che il meme da me creato sintetizzi un po’ la questione. Parliamone però in termini scientifici. Come riportato nel libro di Cialdini “Influence: The Psychology of Persuasion”, minacciare un bambino di non giocare con un giocattolo desiderabile lo può indurre ad obbedire sul momento e scegliere un altro giocattolo al suo posto. Tuttavia, in una situazione successiva dove si senta libero di agire, il bambino sceglierà il giocattolo reso ancora più desiderabile dalla precedente proibizione. Il 77% dei bambini sottoposti all’esperimento, infatti, alla prima occasione utile hanno colto il “frutto del peccato”. Quindi le minacce funzionano solo se c’è la capacità fattiva di monitorare l’ottemperanza ad una data regola, altrimenti sono controproducenti. Questo accade perché non vi è una presa di responsabilità in merito al comportamento di “non fare qualcosa”, semplicemente viene imposto.
Nell’esperimento riportato da Cialdini se ai bambini veniva data una motivazione non coercitiva per non giocare con il giocattolo più bello, questi non lo sceglievano in media né sul momento né successivamente quando a giorni di distanza veniva loro posta di nuovo la scelta senza che fossero osservati (solo il 33% prendeva il robot per giocarci).
Cosa fare allora per convincere le persone all’utilizzo delle mascherine?
La riduzione del 44% della “disobbedienza” nasce dalla capacità dei bambini, come degli adulti, di poter modificare il proprio modo di percepirsi rispetto al problema. Se chiediamo alle persone di essere agenti del cambiamento, queste tenderanno a modificare la propria immagine di sé per essere congruenti con ciò che stanno facendo, soprattutto se li poniamo nelle condizioni di poter insegnare qualcosa a qualcun altro. Se ad esempio chiediamo a qualcuno “come convinceresti gli altri a mettere la mascherina?”, il semplice fatto di darci delle buone ragioni rafforzerà nella persona l’idea di essere una persona che in fondo in fondo tiene alla salute pubblica. Tutto questo accade in maniera piuttosto automatica e sfrutta il tipico bisogno umano alla consistenza. Ed ecco che un potenziale untore può diventare anche l’araldo delle disposizioni anti-contagio.
Riporto il commento di una lettrice che mi ha contattato lasciandomi un suo aneddoto a conferma di quanto scritto nell’articolo: “Quando facevo l animatrice all’oratorio prendevo il bimbo più problematico della banda e gli dicevo che lui era il capo e doveva controllare gli altri bambini! ? Fungeva a meraviglia!”