Quante persone nate tra gli anni ’90 e i primi anni 2000 hanno discusso un’infinità di volte con i propri tutori a causa dei videogames? La soluzione sarebbe stata mettere sotto il naso dei nostri genitori questo articolo e dire loro in faccia che i video giochi non sono solamente uno spreco di tempo che ti frigge il cervello. Peccato questo articolo sia datato 2022, ma conserviamo ancora un po’ di fiducia nella scoperta dei viaggi nel tempo.
L’interazione online durante il Covid-19
Agli albori dei primi video giochi essi erano visti come un mero passatempo, un’alternativa divertente per le giornate piovose. Poi avanti veloce: dalle sale giochi siamo passati alle console casalinghe con l’uscita di “Pong”, le prime Playstation, la Wii, l’Xbox, il computer-gaming, il mobile-gaming e adesso la realtà virtuale.
Soprattutto durante il lockdown di Marzo 2020 molti ragazzi hanno interagito tra di loro esclusivamente tramite videogiochi multiplayer on-line, andando quindi a sostituire (per ovvie ragioni di distanziamento) l’interazione face-to-face. In quel periodo in particolare è spopolato un nuovo videogioco della Activison: Call of Duty Warzone. Gioco sparatutto in grado di fornire all’utente un collegamento on-line con i compagni di squadra, con l’obiettivo di sopravivvere contro altri team (composti da persone reali) che cercano virtualmente di ucciderti e vincere la partita. Uno studio svolto da Marcano Lrez (2014) ha sottolineato come, per l’appunto, una delle motivazioni che ne hanno determinato il successo sia stata la possibilità di interazione sociale consentita all’interno del gioco. Ciò è in linea con lo studio di Pancani e colleghi (2021) che ha evidenziato l’aiuto che l’interazione on-line ha portato nel lockdown del 2020. Nelle loro parole:
“I risultati attuali sembrano indicare che le connessioni sociali online possono sostituire l’effetto di supporto delle interazioni faccia a faccia, specialmente quando queste ultime non sono disponibili e in tempi di incertezza e minaccia di massa”.
Oltre l’effetto sulla solitudine c’è altro?
Oltre ciò i videogames sembrano contribuire al benessere emotivo, sociale e psicologico dei giovani. In particolare, è stato dimostrato che i videogiochi influenzano positivamente il loro stato emotivo, l’autostima, l’ottimismo, la vitalità, la resilienza, l’impegno, le relazioni, il senso di competenza, l’accettazione di sé, le connessioni e il funzionamento sociale (Johnson et al., 2013).
Altri studi hanno previsto la creazione di videogames per il supporto di persone a rischio e/o vulnerabili: come l’invenzione di un videogioco per poter connettere i bambini delle isole Canarie ricoverati in ospedale con i rispettivi compagni di classe, aiutandoli così a rimanere al passo con il proprio percorso di apprendimento (González-González et al., 2014). Nebel e colleghi (2016) addirittura sono giunti alla progettazione di un videogioco educativo, utilizzando il celberrimo “Minecraft”. Dal loro studio è emerso come sia possibile un aumento dell’apprendimento nella condizione di gioco non competitiva, la quale invece può comportare una distrazione.
Naturalmente, non tutte le tipologie di videogames sono salutari o aiutano il benessere della persona, ad esempio i giochi molto violenti potrebbero (si noti il condizionale) incrementare lo stress degli utenti (Hasan et al., 2017). Perciò, è necessario giungere ad una reale comprensione delle qualità positive e negative dei videogiochi, cercando di superare quegli stereotipi che la società offre come scorciatoia.
Articolo scritto da: Mirko Duradoni e Filippo Romano